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Ucraina, incubo Chernobyl: i russi fanno tremare il mondo

Pubblicato: 04/07/2025 20:23

Le sirene antiaeree non bastano più a raccontare il rischio. Da mesi, nella parte sudorientale dell’Ucraina, a pochi chilometri dal fronte, si combatte anche contro l’ombra più cupa del passato. Quella che ha il colore della radioattività, il suono delle esplosioni a intermittenza e la forma dei reattori spenti. Intorno, distese di erba gialla, edifici crivellati, torri di raffreddamento deserte, mentre i tecnici che ancora presidiano le centrali si muovono come in apnea. A volte restano senza luce. A volte senza acqua. Più spesso, senza certezze.

L’evocazione di Chernobyl, oggi, non è più solo memoria o metafora. Dal primo giorno dell’invasione russa, le centrali ucraine sono diventate obiettivi militari, scudi umani, bombe dormienti. Gli esperti parlano di un precedente mai visto: è la prima guerra in Europa in cui impianti nucleari attivi si trovano sotto occupazione armata, sotto attacco e senza protezione reale.

Zaporizhzhia, la centrale nel mirino

È nella centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, che si concentrano oggi le maggiori preoccupazioni. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha definito la situazione “estremamente precaria”, dopo che l’impianto ha perso per la nona volta l’accesso all’energia elettrica esterna. Succede ogni volta che le linee vengono colpite da bombardamenti o sabotaggi. E ogni volta l’unica difesa restano due generatori diesel d’emergenza, capaci di mantenere attivi i sistemi di raffreddamento del combustibile spento. Nulla di più.

Dall’estate 2023, poi, Zaporizhzhia ha perso anche la sua principale fonte d’acqua: la diga di Nova Kakhovka è stata distrutta, lasciando il bacino di raffreddamento completamente asciutto. I tecnici hanno trivellato pozzi d’emergenza, ma non è sufficiente. I sei reattori sono spenti, in cold shutdown, ma la centrale non può riattivarsi né garantire sicurezza a lungo. Per Rafael Grossi, direttore dell’Aiea, si tratta di “una bomba a orologeria”. Ogni interruzione di corrente, ogni ritardo nel carburante diesel, ogni errore umano può trasformarsi in un disastro.

L’attacco a Chernobyl riapre la ferita

Ma è stato il colpo del febbraio 2025, proprio a Chernobyl, a risvegliare l’incubo collettivo. Un drone armato, secondo Kiev, ha colpito il nuovo sarcofago in acciaio che protegge il reattore 4 esploso nel 1986. L’attacco ha aperto un varco nella copertura, innescando incendi subito contenuti, ma giudicati “tra i più gravi eventi nucleari militari mai registrati” dagli osservatori internazionali. Mosca ha negato ogni responsabilità, parlando di “provocazione ucraina”. L’Aiea, però, ha parlato di un atto inaccettabile, sottolineando che “colpire un sito nucleare è un tabù assoluto”.

Chernobyl, va ricordato, pur non più operativa, ospita ancora tonnellate di materiale radioattivo, oltre a depositi di combustibile esausto che richiedono controllo e raffreddamento costante. Anche qui, in più di un’occasione, la centrale è rimasta senza elettricità, con sistemi di emergenza attivati per ore o giorni.

Bombe e droni nei pressi dei reattori

Né Chernobyl né Zaporizhzhia sono sole. Le altre tre centrali attive in Ucraina — Rivne, Khmelnytsky e Sud-Ucraina — hanno vissuto negli ultimi mesi interruzioni di corrente, blackout parziali e allarmi antiaerei ripetuti. L’8 giugno 2025 almeno cinque esplosioni sono state udite attorno a Zaporizhzhia, precedute da raffiche di contraerea: erano droni abbattuti, secondo le autorità. Ma i monitor dell’Aiea confermano: la centrale è ormai al centro del conflitto attivo. La paura è che una singola detonazione, anche non diretta, possa danneggiare le strutture sensibili, alterare i sistemi di raffreddamento o innescare incendi non più contenibili.

L’Aiea ha dichiarato che “nessuna delle cinque centrali nucleari ucraine può oggi dirsi pienamente al sicuro”, né dal punto di vista energetico, né da quello operativo, né tanto meno militare.

L’impegno internazionale e l’ambiguità russa

Di fronte a una situazione sempre più instabile, l’Aiea ha attivato un programma permanente di supporto tecnico all’Ucraina, con oltre 140 spedizioni di materiali, strumenti portatili e carburanti per i generatori. Gli ispettori restano sul campo, anche sotto le bombe. E Grossi, in ogni missione, chiede “massima moderazione militare” attorno ai siti nucleari. Un appello che finora è rimasto lettera morta.

Il governo russo, da parte sua, ha usato più volte la retorica nucleare in chiave intimidatoria. Vladimir Putin ha dichiarato pubblicamente: “Spero non sia necessario usare quelle armi”. Ma il solo evocarle, in un contesto in cui si combatte a pochi metri da reattori carichi, è già una forma di pressione strategica.

Rischio reale o deterrente simbolico?

Gli analisti si dividono. C’è chi sostiene che la Russia non abbia interesse a creare un disastro nucleare in Ucraina: colpire una centrale significherebbe contaminare territori che Mosca stessa rivendica. Ma è altrettanto vero che l’errore, l’incidente, la provocazione sono possibilità concrete, in un contesto di guerra simmetrica dove nessuno dei due eserciti controlla pienamente il perimetro dei siti.

L’Ucraina, nel frattempo, continua a lanciare l’allarme. Zelensky ha più volte denunciato l’uso delle centrali come “ostaggi strategici”, chiedendo la creazione di una zona di sicurezza sotto protezione ONU. Ma il dossier resta bloccato. E intanto, ogni notte, il mondo trattiene il fiato davanti all’idea che basti un’esplosione di troppo per trasformare il ricordo di Chernobyl in realtà.

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