
Il delitto di Chiara Poggi, avvenuto nell’estate del 2007 a Garlasco, è tornato al centro della cronaca giudiziaria italiana. E con esso anche i reperti. Uno su tutti, la cannuccia dell’Estathé trovata nella pattumiera della villetta di via Pascoli, su cui è stato isolato il dna di Alberto Stasi. La circostanza ha riacceso lo scontro tra accusa e difesa, in pieno incidente probatorio. Se per la famiglia Poggi si tratta di una prova importante, la difesa del giovane già condannato a 16 anni per l’omicidio getta dubbi sull’effettiva rilevanza del reperto.
«Trarremo le nostre conclusioni», ha detto l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi. «Quel dna rafforza l’idea che Stasi fosse a colazione con Chiara quella mattina». La difesa però contesta l’interpretazione, sottolineando che Stasi frequentava la casa abitualmente e che non si può datare con certezza la spazzatura. «Non è detto che fosse della mattina del 13 agosto 2007», sostiene l’avvocata Giada Bocellari.

Intanto prosegue l’analisi dei reperti nel laboratorio della Scientifica di Milano, dove la genetista Denise Albani, perita del giudice, ha esaminato altri elementi: tracce di sangue sul tappetino del bagno, assenza di sperma nei tamponi prelevati dal corpo, e un capello con bulbo atrofizzato recuperato dalla stessa pattumiera dell’Estathé. Ma l’attesa si concentra ora sull’esame del dna ritrovato sotto le unghie di Chiara Poggi. Due profili sono stati finora identificati: uno attribuito ad Andrea Sempio, l’amico del fratello ora indagato, e uno ancora anonimo, chiamato “Ignoto 2”.
Per completare la comparazione genetica, la perita Albani ha chiesto di accedere ai dati grezzi delle analisi svolte nel 2014 dal professor Francesco De Stefano, allora consulente nel processo d’appello bis. Il problema? Il docente è oggi in pensione e reperire quei dati – anche dall’università di Genova o dal RIS – potrebbe richiedere tempo. E potrebbe slittare anche l’udienza già fissata per il 24 ottobre. L’inchiesta, sotto la guida del procuratore Fabio Napoleone, resta aperta, ma i nodi tecnici rischiano di allungare ancora una volta l’iter processuale.