
Per sei anni ha vissuto come un condannato a morte. Ogni mattina si alzava con la consapevolezza di essere affetto da una malattia neurodegenerativa senza cura. Le medicine, i controlli, le terapie, la paura. Tutto ruotava attorno a una parola che pesa come una pietra tombale: Sla. Nessuno, né i medici né i familiari, poteva immaginare che quella diagnosi fosse sbagliata. Che quell’uomo, un operaio di Cisterna di Latina, non fosse destinato a una fine lenta e dolorosa, ma che stesse semplicemente soffrendo di una grave forma di artrite cervicale, debilitante sì, ma non incurabile.
Oggi, venticinque anni dopo quella diagnosi sbagliata e sette dopo il suo gesto estremo, è arrivato un verdetto. La Corte d’Appello di Roma ha stabilito che la famiglia sarà risarcita con 120.000 euro dall’Asl di riferimento e dal medico responsabile della valutazione clinica. Un risarcimento che, come spesso accade in questi casi, arriva troppo tardi e non può restituire ciò che è stato tolto: la vita.

Tutto inizia nel 1999, quando l’uomo accusa forti vertigini e difficoltà nel camminare. Sintomi che lo portano in una struttura sanitaria pubblica, dove viene sottoposto a una batteria di accertamenti. La sentenza arriva rapida, implacabile: sclerosi laterale amiotrofica. Da quel momento inizia un calvario. Cure pesanti, farmaci neurodegenerativi, una prospettiva di vita drasticamente ridotta. L’uomo sprofonda in una depressione profonda, accompagnata dal progressivo isolamento sociale. Ogni giorno che passa è vissuto nella certezza della fine.
La verità arriva solo nel 2018, quando un consulto al Policlinico Gemelli di Roma cambia tutto. Lo specialista esclude la diagnosi di Sla e individua invece una mielopatia spondilogenetica: una condizione invalidante, causata dalla compressione delle vertebre cervicali, ma operabile. L’ex operaio, ormai pensionato, è devastato: anni di terapie inutili, di dolore fisico e psichico, si rivelano frutto di un errore.
Prova a reagire. Avvia un’azione legale, cerca giustizia. Ma è troppo tardi. Il corpo è debilitato, la mente irrimediabilmente segnata. Il peso degli anni trascorsi nella convinzione di essere terminale è insopportabile. L’uomo si toglie la vita.
Oggi, la giustizia riconosce le colpe. Il danno biologico, morale ed esistenziale è stato accertato. La negligenza medica pure. Ma il prezzo pagato è stato altissimo. Inestimabile. Un errore iniziale ha cambiato il corso di una vita. Lo ha fatto con la forza devastante di una condanna. Solo che non era mai stata emessa davvero.