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Addio alla maglia gialla più anziana: sfidò Coppi e Bartali nel Tour del ’49

Pubblicato: 06/07/2025 08:23

Non si era mai considerato un campione. Quando lo si nominava tra i grandi, scuoteva la testa. Diceva che quelli veri erano altri. Eppure, c’era stato un momento — tre giorni soltanto, ma bastavano — in cui aveva sentito il mondo guardarlo da dietro le transenne. Bastava quella frazione di gloria, incastonata nel luglio di un altro secolo, per restare per sempre.

Camminava piano, ormai, ma non dimenticava nulla. Le salite, il pubblico che correva al fianco dei corridori, le urla dei francesi e degli italiani. Portava con sé un pezzo di quell’epoca che aveva il colore della polvere e l’odore dell’asfalto bollente. Gli bastava ascoltare le cronache del Tour, ogni estate, per tornare laggiù. A quel giorno preciso, quello in cui si svegliò con la maglia gialla accanto al letto.

Tre giorni in giallo, poi l’abbraccio dei giganti

Si è spento il 3 luglio, a 99 anni, pochi giorni prima che scattasse l’edizione numero 112 del Tour de France. Era l’ultima maglia gialla ancora vivente del dopoguerra, simbolo silenzioso di un ciclismo ormai lontano. L’aveva conquistata nel 1949, indossandola per tre tappe, e resistendo in classifica generale con una grinta che colpì tutti. Ma su quelle strade, c’erano anche Fausto Coppi e Gino Bartali, troppo forti persino per lui. Chiuse terzo, e fu comunque un trionfo.

Il suo nome era Jacques Marinelli, e la sua carriera fu breve, modesta nei numeri, ma luminosa nel ricordo. Nato in Francia da famiglia italiana, aveva portato in corsa entrambe le identità. Lo chiamavano “perruche”, pappagallino, per il modo in cui attaccava: nervoso, coraggioso, leggero. Partecipò a sei edizioni del Tour, dal 1948 al 1954, ritirandosi quattro volte e concludendo due. Corse anche un Giro d’Italia, nel 1951, chiudendo al 71° posto. Alla Milano-Sanremo partecipò due volte, piazzandosi al massimo 37°.

Una seconda vita tra imprenditoria e politica

Ma non visse mai di rimpianti. Dopo il ritiro dalle corse, si reinventò. Fu imprenditore di successo e sindaco della cittadina di Melun, dove ha abitato fino alla fine. Non smise mai di parlare di ciclismo, di insegnare la tenacia ai più giovani, di custodire il senso profondo di quella maglia che, per lui, non fu un trofeo ma un impegno. La sua voce era presente a ogni celebrazione, ospite silenzioso delle memorie del Tour.

A darne l’annuncio è stato il sindaco attuale di Melun, Kadir Mebarek, che ha scritto su Facebook: “Melun perde oggi uno dei suoi figli più illustri. Ciclista leggendario, ex sindaco visionario, uomo giusto e profondamente umano”. Una definizione che ha fatto subito il giro del mondo del ciclismo, suscitando commozione in chi ancora ricordava quel 1949 e in chi, oggi, pedala nel suo nome.

L’eredità di chi resiste, anche quando perde

Il suo nome non compariva nei libri scolastici né nei documentari. Ma in chi ama davvero la bicicletta, Jacques Marinelli rappresentava la resistenza del gregario, la forza dell’umiltà, il coraggio di chi lotta anche sapendo che non vincerà. Fu l’unico a infilarsi tra Coppi e Bartali in una delle edizioni più leggendarie del Tour. E lo fece senza clamore, senza provocare, solo con le gambe.

Ogni volta che veniva invitato a rievocare quell’impresa, si schermiva. Diceva: “È stata solo una corsa”. Ma poi sorrideva, e quegli occhi piccoli brillavano ancora.

Una maglia gialla che non scolorisce

Non aveva bisogno di raccontarsi. Bastava il silenzio con cui ascoltava gli altri parlare di lui. Bastava quella fotografia sbiadita in cui compariva al centro, tra due giganti. Era il piccolo uomo che aveva osato. E il tempo, che a volte si prende tutto, con lui è stato clemente: gli ha lasciato l’onore di essere l’ultimo, il più longevo tra quelli che ce l’avevano fatta.

Ora che se n’è andato, resta il ricordo di una corsa, di un podio, di tre giorni in giallo. E di un uomo che ha saputo attraversare quasi un secolo rimanendo fedele a se stesso. Senza bisogno di vincere ancora. Perché aveva già vinto abbastanza.

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