
Ha sollevato un’ondata di polemiche il post pubblicato dallo chef stellato Paolo Cappuccio, volto noto della ristorazione italiana, che ha usato toni duri e potenzialmente discriminatori per annunciare la ricerca di personale in vista della stagione invernale in Val di Fassa. Il contenuto, diffuso tramite il suo profilo Facebook e poi rimosso, ha scatenato un acceso dibattito su diritti dei lavoratori, linguaggio offensivo e rispetto delle leggi anti-discriminazione in Italia.
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L’annuncio su Facebook e le frasi incriminate
Il messaggio apparso l’8 luglio sul profilo dello chef cercava nuove figure per la brigata di cucina: un cuoco, tre capi partita e un pasticcere. Lo stipendio, secondo l’annuncio, variava dai 2.000 ai 4.000 euro mensili. Ma non è stata la parte economica ad attirare l’attenzione degli utenti. A colpire, piuttosto, sono stati i toni perentori e le esclusioni esplicite, formulate con espressioni giudicate offensive: «Sono esclusi comunisti/fancazzisti, Master chef del c… ed affini. Persone con problemi … di orientamento sessuale».
Frasi che in poche ore sono diventate virali, condivise da migliaia di utenti, giornalisti e attivisti. Il giornalista Luca Bottura ha ironizzato sulla grammatica e sul tono “illeggibile” del messaggio, mentre Simone Alliva, attivista LGBTQIA+, ha denunciato il contenuto come «una violazione delle leggi sul lavoro». L’annuncio è stato cancellato poco dopo, ma non prima che ne circolassero ampiamente screenshot e commenti indignati.

La difesa dello chef: “Sono stato esasperato”
Messo di fronte alla bufera mediatica, Paolo Cappuccio ha confermato l’autenticità del post e ha provato a giustificare i toni adottati. Intervistato dal Corriere della Sera, ha dichiarato: «Ero esasperato dopo l’ennesima esperienza negativa. Non ne posso più di collaboratori che si mettono in malattia, bruciano il pesce o non lavorano. Ho diritto a scegliere chi entra nella mia cucina».
Lo chef ha anche tentato di chiarire il riferimento all’orientamento sessuale: «Ho amici gay, non è quello il punto. Ma se sul posto di lavoro si ostenta in modo eccessivo, si creano problemi nella brigata. Voglio solo che ci sia rispetto e disciplina». Parole che non hanno però placato le polemiche. In molti hanno sottolineato come, al di là delle intenzioni, un annuncio di lavoro pubblico non possa contenere criteri selettivi discriminatori, né riferimenti a condizioni personali.
Un precedente simile nel 2020
L’episodio attuale non è isolato. Già il 15 giugno 2020, lo stesso Cappuccio aveva pubblicato su Facebook un altro annuncio dai toni simili, relativo alla ricerca di personale per un hotel 4 stelle a Caorle. Anche in quella circostanza, il linguaggio utilizzato era stato fortemente criticato. Il messaggio escludeva «vagabondi senza fissa dimora, alcolizzati, drogati ed affini», e ironicamente aggiungeva: «Mi scuso se non ho citato qualche altra forma di disagiati. Buona continuazione».
Anche allora il contenuto fu segnalato da numerosi utenti per il carattere offensivo e discriminatorio. L’accaduto del 2020 è riemerso in queste ore, rilanciato da chi evidenzia come lo stile comunicativo dello chef non sia mutato nel tempo. La reiterazione dei toni – ironici, aggressivi e selettivi – rafforza il dubbio che non si tratti di una svista, ma di una scelta comunicativa deliberata, in aperto contrasto con i principi di uguaglianza sanciti dalla legge.

I profili giuridici e le possibili conseguenze
Secondo il Decreto Legislativo 216/2003, è vietata ogni forma di discriminazione sul luogo di lavoro basata su orientamento sessuale, religione o opinioni politiche. Anche la Costituzione italiana, all’articolo 3, stabilisce l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione. Un annuncio pubblico che contiene esclusioni esplicite può quindi comportare sanzioni legali, l’annullamento dell’eventuale contratto e obblighi risarcitori se viene dimostrata l’intenzionalità discriminatoria.
In questo contesto, le affermazioni di Cappuccio rischiano di trasformarsi in un caso legale, oltre che mediatico. Diversi avvocati del lavoro e esperti di diritto antidiscriminatorio hanno già sottolineato che il contenuto dell’annuncio potrebbe configurare una violazione delle normative vigenti. Inoltre, alcune strutture ricettive con cui lo chef collabora sarebbero state oggetto di pressioni online, con richieste di chiarimenti o prese di distanza.
Una carriera tra stelle Michelin e polemiche
Nato a Napoli nel 1977, Paolo Cappuccio ha avuto una carriera brillante nel mondo dell’alta cucina italiana. Ha lavorato per strutture di prestigio come La Casa degli Spiriti e La Stube del Bio Hotel Hermitage, ricevendo riconoscimenti internazionali per la qualità e l’eleganza della sua cucina. Negli ultimi anni si è dedicato principalmente alla consulenza gastronomica, continuando però a essere una figura influente nella ristorazione d’élite.
Tuttavia, le sue uscite pubbliche e il modo diretto – per alcuni offensivo – con cui si esprime hanno generato controversie ricorrenti. Nonostante le critiche, Cappuccio continua a rivendicare la libertà di scegliere i collaboratori secondo i propri criteri, sostenendo di volere «solo lavoratori normali, che sappiano stare al loro posto». Una posizione che, nel mondo contemporaneo, fa discutere e che sembra destinata a dividere ulteriormente l’opinione pubblica.
Conclusioni
L’annuncio pubblicato da Paolo Cappuccio riapre un tema sensibile: fino a che punto un datore di lavoro può spingersi nel definire i requisiti per un’assunzione? Quando il linguaggio diretto diventa esclusione illegittima? In un’epoca in cui la comunicazione online è immediata e indelebile, anche una frase scritta in un momento di frustrazione può diventare un caso nazionale. E in questa vicenda, la linea tra opinione personale e discriminazione appare più sottile che mai.