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“Sono scappato dai poliziotti, ero senza casco”, la confessione di Calenda da Porro

Pubblicato: 08/07/2025 09:45
Calenda Porro scappato poliziotti

Certe esperienze della giovinezza si imprimono nella memoria non tanto per la loro intensità, quanto per la consapevolezza che lasciano dietro. Ci sono momenti in cui, guidati dall’adrenalina o dalla sfida, si oltrepassano limiti che da adulti sembrano assurdi. Piccoli atti di ribellione, bravate che il tempo ridimensiona ma che restano come insegnamenti. È proprio attraverso uno di questi ricordi personali che Carlo Calenda, oggi figura politica di primo piano, ha voluto raccontare il suo punto di vista su un tema che divide l’opinione pubblica.
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Non servono giri di parole quando si è disposti ad ammettere i propri errori. E Calenda, durante un’intervista televisiva, ha scelto di usare un episodio privato, legato alla propria adolescenza, per riflettere sul rapporto tra cittadini e forze dell’ordine. Una confessione sincera, diretta, senza sconti, in un contesto pubblico e politico dove il tema del rispetto delle regole è sempre più centrale.

Il racconto in diretta a “Quarta Repubblica”

L’occasione per il racconto è stata una puntata di “Quarta Repubblica” su Rete 4, dove il leader di Azione era ospite di Nicola Porro. Durante un confronto acceso sul caso Ramy Elgaml, Calenda ha deciso di condividere un episodio personale che risale alla sua giovinezza. “Ero un ragazzino, eravamo in due sulla Vespa senza casco – ha detto – e ci cercarono di fermare sul Lungotevere. Io sono scappato. Ero un idiota”.

Nel ricordo, due agenti di polizia motociclisti inseguirono il giovane Calenda, riuscendo poi a bloccarlo. Le conseguenze non furono leggere: “Mi hanno gonfiato, e hanno fatto bene. Mi hanno dato due ceffoni”. Nessuna recriminazione, nessuna denuncia postuma: solo il riconoscimento di aver commesso un errore grave e l’ammissione che la reazione degli agenti, in quel contesto, fu giustificata.

La riflessione sul rispetto delle regole

Nel racconto, Carlo Calenda non cerca giustificazioni. Anzi, pone l’accento su un concetto che ritiene fondamentale: la responsabilità individuale. “Se mi scivolava una ruota e cadevo, non è che potevo andare a dire ‘però quelli mi incalzavano da vicino’”, ha detto. Un modo per ribadire che le scelte personali hanno conseguenze, e che il rispetto delle norme, soprattutto quando si tratta di sicurezza stradale e controlli delle forze dell’ordine, non può essere ignorato.

La sua posizione è chiara anche rispetto alle polemiche sollevate in casi recenti, in cui si è discusso dell’operato delle forze dell’ordine durante inseguimenti o controlli. “Se tu metti come principio il fatto che se insegui quello che non si ferma al posto di blocco, e quello fa una svolta brusca e tu lo prendi, allora il carabiniere non ci va più a inseguire”, ha affermato. Una presa di posizione netta, che pone l’accento sulla necessità di sostenere l’operato degli agenti, pur nel rispetto delle leggi e dei diritti.

Il caso Ramy Elgaml e il ruolo della politica

Il contesto dell’intervento era legato al caso di Ramy Elgaml, episodio che ha riacceso il dibattito politico e mediatico sul tema dell’uso della forza da parte delle forze dell’ordine. Calenda, pur non entrando nel merito giudiziario della vicenda, ha criticato la sinistra per quella che definisce una mancanza di chiarezza. E ha scelto di schierarsi apertamente a favore degli uomini in divisa, sottolineando quanto sia importante non mettere in discussione l’autorità delle forze dell’ordine quando agiscono nel rispetto delle regole.

Nel farlo, non ha usato toni ideologici o slogan, ma ha portato l’attenzione su un’esperienza concreta, personale, diventata esempio di come si può sbagliare, ma anche imparare. La politica, secondo Calenda, dovrebbe avere il coraggio di difendere le istituzioni quando necessario, anche a costo di andare controcorrente.

Errori, maturità e credibilità

L’episodio raccontato da Calenda è stato accolto con reazioni contrastanti. C’è chi lo ha apprezzato per la sincerità e la volontà di assumersi la responsabilità di un errore giovanile. Altri hanno criticato la leggerezza con cui ha parlato di un uso fisico della forza da parte dei poliziotti. Ma al di là delle opinioni, resta il segno di una narrazione politica diversa, che mette al centro l’esperienza personale come forma di autenticità.

Nel tempo della comunicazione costruita e delle dichiarazioni calcolate, Calenda ha scelto un’altra strada: quella del ricordo privato per parlare di una questione pubblica. Una scelta che, giusta o sbagliata che sia, richiama l’idea che la credibilità si costruisce anche attraverso il riconoscimento dei propri errori.

E così, quella fuga in Vespa sul Lungotevere, che poteva finire molto peggio, è diventata – a distanza di anni – un punto di partenza per parlare di rispetto, maturità e sicurezza. Un messaggio rivolto a chi governa, ma anche a chi cresce.

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