
Il Tribunale dei Ministri di Roma ha ufficialmente chiuso l’indagine sulla mancata consegna del generale libico Najeem Osama Almasri alla Corte Penale Internazionale, con un provvedimento che potrebbe portare all’archiviazione o alla richiesta di rinvio a giudizio per alcuni membri del governo, tra cui la premier Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, accusati di favoreggiamento, peculato e, nel caso di Nordio, anche omissione di atti d’ufficio.
Le carte al centro dell’inchiesta rivelano che la capo di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi, era al corrente da subito della vicenda e aveva ordinato ai suoi collaboratori di non lasciare tracce documentali: “niente mail né documenti protocollati” e ricorso esclusivo a Signal, l’app criptata, per garantire riservatezza alle comunicazioni.

L’indagine ha ricostruito le fasi successive all’arresto di Almasri, avvenuto domenica 19 gennaio a Torino, fino al rimpatrio forzato su un volo di Stato, deciso dall’esecutivo libico e attuato con il sostegno delle autorità italiane. Ben prima di qualunque intervento ufficiale, la macchina ministeriale aveva iniziato a muoversi sotto traccia.
Nel pomeriggio di quella stessa domenica, il capo del Dag, Luigi Birritteri, contattò Bartolozzi segnalando l’assenza di un’autorizzazione formale all’arresto, chiedendo come procedere. La risposta fu immediata: la capo di gabinetto era già informata e invitava a massima cautela e riserbo, con l’uso esclusivo di canali criptati.
Secondo la versione difensiva di Nordio, il ministro avrebbe ricevuto solo un’informazione informale “di poche righe” e sarebbe stato informato formalmente solo il lunedì 20 febbraio. Tuttavia, le comunicazioni interne dimostrano che già la domenica era stata ricevuta documentazione ufficiale tramite la piattaforma Prisma dall’ambasciata italiana all’Aja.
Bartolozzi ha sostenuto di aver aperto la piattaforma solo il giorno successivo, ma la mail inviata domenica e la scelta di evitare protocolli interni suggeriscono una strategia pianificata per gestire la vicenda al di fuori dei canali tradizionali. Un comportamento che ora è al vaglio del Tribunale.

La relazione al Parlamento e le audizioni non hanno dissipato i dubbi: il Dag aveva preparato un atto per sanare il vizio del mandato, che sarebbe potuto essere firmato da Nordio, ma non è mai stato presentato. Il ministero ha preferito evitare ulteriori passaggi ufficiali.
Per questo motivo, le giudici del Tribunale avevano convocato Nordio come indagato, ma egli non si è presentato, motivando l’assenza con “altri impegni istituzionali”. Successivamente, la difesa – guidata dall’avvocata Giulia Bongiorno – ha suggerito di sentire al suo posto Mantovano, ritenendo questo passaggio probatorio sufficiente.
Ora si attende il deposito delle conclusioni del Tribunale, che deciderà se rinviare a giudizio uno o più esponenti del governo o archiviare il procedimento. La decisione sarà cruciale per la credibilità delle istituzioni e potrebbe rivelare se la gestione del caso Almasri sia stata una serie di omissioni casuali o una manovra politica pianificata.