
Si sa, nella politica il vento cambia rapidamente, le alleanze mutano e le simpatie possono trasformarsi in antipatie. Non è una novità, né per quanto riguardo le dinamiche interne ai singoli Paesi, né sul piano internazionale. E qualche volta alleanze o grandi freddi possono essere determinati non da fattori contingenti e personali, ma dalle dinamiche che si verificano altrove.
Ed è proprio quello che sta succedendo in questo periodo in Italia, complice Donald Trump e la sua gestione fumantina dei rapporti interni al suo governo. Un aspetto che ha coinvolto, negli ultimi mesi, soprattutto due leader italiani: Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che con il Presidente americano hanno cercato di costruire un rapporto privilegiato.
Dalla collaborazione amichevole al gelo
C’era una volta Elon Musk, l’imprenditore osannato dal centrodestra italiano. Ospite di Giorgia Meloni, celebrato da Matteo Salvini, citato ovunque tra convegni sulla libertà digitale, post su SpaceX, e sogni tricolori di Tesla e Starlink. Un visionario, un paladino anti-woke, il partner ideale per l’Italia sovranista 4.0.
Poi però è arrivato lo scontro con Donald Trump. E lo show globale in salsa social: Musk prima lo coccola, poi lo attacca con una raffica di post su X (ex Twitter). A Roma, cala il gelo. Musk non viene più citato. Non da Meloni, che lo accarezzava come esempio di “visione”. Non da Salvini, che solo pochi mesi fa postava missili Falcon 9 come fossero fette di culatello. Silenzio totale.

Nessuna difesa dagli attacchi di Trump, nessuna dichiarazione, nessun comunicato. Come se Musk non fosse mai esistito. Da Palazzo Chigi filtrano parole chiare: “Tutto fermo. Tutti i dossier congelati. Nessun contatto da mesi.” Congelati progetti strategici come il piano Starlink per la connettività nazionale, l’idea di una gigafactory Tesla al Sud, o le collaborazioni con l’Aeronautica per lanciare satelliti.
Damnatio memoriae: l’algoritmo ha deciso
In un governo che ha fatto dell’atlantismo la propria stella polare, fare affari con Musk – oggi nemico dichiarato di Trump – è diventato politicamente tossico. Meloni non vuole irritare Washington. Salvini ha capito che il vento è cambiato e tace. Nessuno ha scaricato Musk ufficialmente, ma nei palazzi romani il suo nome è diventato impronunciabile.
Anche gli apparati tecnici si sono auto-disattivati. I progetti in corso sono stati riassorbiti, i contatti americani sostituiti con referenti meno instabili (vedi: Francia). Un cambio di rotta silenzioso ma netto. Eppure, basta poco per resuscitare l’interesse: se Musk si riavvicinasse a Trump o rientrasse in una narrativa “utile”, potrebbe tornare in auge. Per ora, però, è finito nella soffitta dei rapporti pericolosi. Nel governo dei patrioti digitali, anche gli idoli si aggiornano con l’algoritmo.