
Lanfranco Palazzolo, giornalista parlamentare di Radio Radicale, ha pubblicato l’ennesimo libro scomodo. Se non sono scomodi non gli piacciono. Qualche anno è passato ma va ricordato il suo Kennedy shock. L’anima nera del presidente JFK (Kaos Editore). Insomma, come smontare un mito.
Anche questo nuovo Il Parlamento contro Pasolini. Ostilità in forma di prosa verso PPP (1959-1976), edizioni Palomar, è scomodo e per certi versi irritante. Perché ci costringe a ricordare un mondo che non c’è più, nel quale tuttavia siamo vissuti, siamo cresciuti. E Palazzolo ci chiede di confrontarci con esso, con il nostro passato complesso, complicato, usando fonti – gli atti parlamentari – che onestamente non sono molto utilizzati dalla storiografia. Ci costringe a riflettere su sul Pasolini che ha avuto mille sfaccettature ed è difficile incasellare in una sola definizione. Forse l’unica che può funzionare è quella di libero intellettuale.

L’uomo dalle mille nature
Cristiano, ma forse ateo, o agnostico, giovanissimo fascista con un fratello partigiano della Osoppo ucciso a Porzus dalle brigate Garibaldi, comunista ma non amato dai comunisti, omosessuale, studioso del sottoproletariato urbano, nostalgico del mondo rurale, contrario all’aborto, e in questo senso anche conservatore. Comunque e sempre scomodo, come poeta, come regista, come scrittore. In fondo è stato di tutti e di nessuno. Ciascuno lo tirava dalla sua parte, in fasi diverse, solo per sfruttarne l’immagine.
Gli interventi alla Camera “contro” Pasolini raccolti da Palazzolo fanno anche sorridere. Perché portano a galla un’Italia bacchettona. Pasolini è criticato da destra, naturalmente, ed è quasi scontato. Meno scontato è ricordare che nei suoi confronti la sinistra ha utilizzato – come rileva Palazzolo – una doppia morale. Se Mario Montagnana, in una lettera al cognato Palmiro Togliatti, critica Ragazzi di vita “perché gli sembra che Pasolini non ami la povera gente, disprezzi in generale gli abitanti delle borgate romane e, ancor di più disprezzi il nostro partito”, e Togliatti non gli risponde, questo spiega molte cose dell’Italia che fu.

Siamo nel 1960. E anche questo silenzio fa sorridere. Perché nel 1946 Togliatti su Rinascita scrisse un’elegia sul film Fabiola di Alessandro Blasetti, che aveva girato nel 1934 Vecchia guardia, definito da Callisto Cosulich “l’unico film sinceramente fascista che sia stato girato nel ventennio”. E lo stesso Togliatti, ancora su Rinascita, nel 1950 parla per André Gide di “abisso di corruzione e generazione”.

Bacchettonismo, moralismo, trasversale alle culture politiche e duro a morire. Nel 1972 un deputato di sinistra lamenta che la Rai censura Pasolini. Ma quella era appunto l’Italia di quegli anni. Nel 1967 la canzone di Francesco Guccini Dio è morto (se Dio muore, è per tre giorni poi risorge) fu censurata dalla Rai democristiana, ma trasmessa da Radio Vaticana.
D’altra parte Pasolini era un irregolare, non asservito neppure al PCI che pure diceva di votare nonostante fosse stato espulso per indegnità. “Scandalosa” fu ricordare la lunghissima poesia che pubblicò sulla rivista “Nuovi Argomenti” nel giugno del 1968. Una riflessione su quella che viene ricordata come “battaglia di Valle Giulia”, cioè lo scontro del primo marzo di quell’anno tra la Celere e i manifestanti, che cercavano di “riconquistare” la facoltà di Architettura di Roma dopo lo sgombero degli occupanti. “Avete – scrisse, rivolgendosi ai militanti del movimento studentesco difeso dal PCI – lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo!) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccolo-borghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”.

“Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo”
Un altro intervento “scandaloso”? Uscì il 18 ottobre 1975. S’intitolava “Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo”. Fu il suo ultimo articolo. Il 2 novembre successivo fu ucciso. Pasolini s’interrogava sulla violenza giovanile. Il 30 settembre c’era stata l’aberrante strage del Circeo. Ma, ricordava, che il 31 agosto c’era stata quella dei fratelli Carlino. Cronaca brutalmente nera, ma che a suo parere era trasversale alle categorie sociali. Piccoli borghesi e proletari erano capaci di esprimere identica violenza.
Pasolini ne ricavava un amaro paradosso. “Quali sono – scriveva – le mie due modeste proposte per eliminare la criminalità? Sono due proposte swiftiane, come la loro definizione umoristica non si cura minimamente di nascondere.
1) Abolire immediatamente la scuola media dell’obbligo.
2) Abolire immediatamente la televisione. Quanto agli insegnanti e agli impiegati della televisione possono anche non essere mangiati, come suggerirebbe Swift: ma semplicemente possono essere messi sotto cassa integrazione.
La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell’autogestione, del decentramento ecc.: tutto un imbroglio). Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica”.
Discutibile? Provocatorio? Questo è stato Pasolini. Libero, critico, corrosivo. Dunque non sorprendono gli interventi parlamentari che lo riguardano, in vario modo. Bene ha fatto Palazzolo a riportarli alla luce. Anche se spesso rasentano il ridicolo. Naturalmente così appaiono oggi. Non così apparivano nell’Italia che fu.