
È stato un incidente diplomatico senza precedenti quello che ha coinvolto una delegazione dell’Unione Europea in missione in Libia, composta da diversi rappresentanti internazionali, tra cui il ministro dell’Interno italiano Matteo Piantedosi. Dopo l’incontro istituzionale con il governo riconosciuto di Tripoli, la delegazione è stata respinta all’aeroporto di Benata dalle autorità della Libia orientale, sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, segnando un momento di grande tensione tra le due sponde del Mediterraneo.
Lo sgarbo, definito tale anche dai diplomatici più esperti, ha colto tutti di sorpresa, lasciando in sospeso le conseguenze politiche e operative di questo brusco stop, avvenuto in un momento già sensibile per quanto riguarda il contenimento dei flussi migratori. Proprio dalla Cirenaica, la regione guidata da Haftar, partono infatti molti dei barconi carichi di migranti che raggiungono le coste italiane, e la situazione, con l’arrivo dell’estate e del bel tempo, rischia ora di peggiorare ulteriormente.

Secondo quanto emerso, a far precipitare gli eventi sarebbe stata la volontà, da parte dei media libici locali, di documentare fotograficamente l’incontro tra esponenti del governo di Bengasi e i rappresentanti della delegazione europea, tra cui i ministri di Malta e Grecia, Byron Camilleri e Athanasios Plevris, il commissario Ue Magnus Brunner e lo stesso Piantedosi. Un gesto che avrebbe potuto essere interpretato come un riconoscimento politico implicito del governo non riconosciuto internazionalmente di Bengasi.
Il clima è rapidamente degenerato: parte della delegazione si trovava già nell’aeroporto, altri erano ancora a bordo dell’aereo, mentre all’interno della sala d’attesa si consumava un confronto sempre più teso. Nemmeno il tentativo di mediazione dell’intelligence italiana, da sempre attiva nei rapporti con la Libia orientale, è riuscito a evitare la rottura. Il presidente Osama Hamad, leader della Cirenaica, ha firmato un provvedimento di espulsione immediata, accusando i diplomatici europei di “disprezzo per la sovranità nazionale libica”.
Una motivazione dura, ben oltre il semplice dissenso per delle foto non autorizzate, che suona come una chiara sfida all’Unione Europea e potrebbe comportare ripercussioni dirette sull’Italia, vista la vicinanza geografica e il ruolo centrale che Roma ha nel coordinamento delle politiche migratorie. Il Viminale, in queste ore, mantiene una posizione prudente, ma è evidente che l’episodio rischia di compromettere il fragile equilibrio raggiunto negli ultimi mesi.
Paradossalmente, poche ore prima dello scontro a Bengasi, la stessa delegazione europea aveva ottenuto risultati incoraggianti a Tripoli, con un incontro descritto come “positivo” in cui erano stati definiti nuovi accordi operativi: riattivazione di Frontex, pattugliamenti congiunti, rafforzamento della sicurezza e miglioramento delle procedure per i rimpatri dei migranti. Tutto sembrava andare nella direzione giusta per un contenimento più efficace dei flussi.

Tuttavia, la reazione di Haftar rischia di far saltare il banco. Una prova di forza che potrebbe anticipare ritorsioni, in particolare l’allentamento dei controlli lungo le coste sotto il suo controllo, rendendo più semplice e frequente la partenza di imbarcazioni clandestine dirette in Europa. Una minaccia indiretta, ma percepita come reale, specie da Italia e Grecia, che vedono in quei tratti di litorale uno dei punti più critici del Mediterraneo centrale.
La vicenda mostra anche quanto sia instabile l’equilibrio interno della Libia, divisa di fatto in due governi contrapposti, con agende politiche e alleanze differenti. Il fatto che un’unica missione europea sia stata ben accolta da una parte e cacciata in malo modo dall’altra evidenzia quanto sia difficile per Bruxelles mantenere un approccio neutrale in un contesto così frammentato.
In attesa delle reazioni ufficiali da parte della Commissione Ue e di eventuali chiarimenti diplomatici, la sensazione è che quanto avvenuto ieri a Bengasi sia un campanello d’allarme. Un episodio che mette in discussione i progressi fatti finora e lancia un segnale preoccupante: i partner europei, Italia in testa, dovranno muoversi con estrema cautela se vogliono continuare a esercitare un ruolo credibile e stabile nella regione.