
Il cielo di Wimbledon non ha tremato, ma è stato scosso dai colpi precisi e maturi di Jannik Sinner, che ha piegato la resistenza dello statunitense Ben Shelton in tre set: 7-6(2), 6-4, 6-4. Un match denso, vibrante, attraversato da momenti di grande tensione e da lampi di classe pura. Il numero uno del mondo si è guadagnato l’accesso alla sua seconda semifinale sull’erba londinese senza mai perdere davvero il controllo. E lo ha fatto nonostante una fastidiosa botta al gomito, conseguenza della scivolata nel match contro Dimitrov, che lo ha costretto a giocare con una vistosa manica di protezione.
Un primo set da brividi, poi il dominio

Il primo parziale ha raccontato una sfida serrata. Sinner è sceso in campo determinato, tenendo il servizio con autorità – ha vinto 27 dei primi 29 punti alla battuta – ma dall’altra parte Shelton ha opposto resistenza, servendo con potenza e cercando di aprire gli scambi. Il giovane americano ha tentato anche colpi spettacolari, compresa una tweener che ha strappato applausi e sorriso allo stesso Sinner. Il set si è deciso al tie-break, dopo un equilibrato 6-6. Lì, Jannik ha imposto il suo tennis più lucido, approfittando di due errori pesanti di Shelton: un doppio fallo e un dritto lungo.
«Sapevo che quel momento era cruciale – ha raccontato l’altoatesino a fine match – dovevo restare lucido e leggere bene le sue intenzioni. Ho cercato di spingere senza strafare».
Quel parziale vinto 7-2 ha fatto da spartiacque. Da lì in avanti, l’azzurro ha alzato il livello, mentre Shelton ha iniziato a dare segni di nervosismo. Le sue accelerazioni hanno perso profondità, e Sinner ha cominciato a muoverlo con maggiore efficacia.
La costanza fa la differenza

Il secondo set ha visto emergere in pieno la maturità tattica di Sinner. Dopo aver annullato due palle break in apertura, l’azzurro ha colpito nel momento perfetto: decimo gioco, 5-4, servizio Shelton.
«In quelle fasi il margine è stretto – ha spiegato – basta una scelta sbagliata per rimettere tutto in discussione. Ma io mi sentivo bene, e ho aspettato il mio momento».
È arrivato puntuale: un break a zero, con risposta in anticipo e chiusura di dritto.
Lo stesso copione si è ripetuto nel terzo parziale, dove Sinner ha tenuto i propri turni con regolarità e ha colpito ancora una volta nell’ultimo game. Il 6-4 finale ha sancito una prestazione che, senza apparire scintillante, ha avuto il merito di essere solida, chirurgica e mentalmente impeccabile.
Il dolore al gomito e la forza della testa

Molti si aspettavano un Sinner condizionato fisicamente. L’infortunio al gomito destro, pur non grave, lo aveva limitato negli ultimi giorni. Ma il suo approccio mentale ha spazzato via ogni dubbio.
«Mi sono svegliato meglio stamattina, con meno fastidio – ha detto – e sapevo che non era nulla di grave. Ma non volevo che diventasse un alibi».
Ha poi aggiunto, con quel sorriso quieto che lo accompagna da mesi:
«Qui mi sento a casa. Il pubblico mi ha dato tanta energia».
Nessuna drammatizzazione, solo un’affermazione chiara della propria leadership. Il lavoro fatto con il team – in particolare con Darren Cahill e Simone Vagnozzi – si è visto tutto. E mentre lui parlava, si notava sul volto una serenità che conferma quanto abbia interiorizzato il ruolo di numero uno.
Shelton, talento e limiti

Dall’altra parte della rete, Ben Shelton ha vissuto una giornata agrodolce. Il talento c’è, l’esplosività anche, ma nei momenti chiave è mancata la lucidità.
«Ho avuto le mie occasioni, soprattutto nel primo set – ha ammesso – ma contro un giocatore come Sinner, se non le sfrutti, sei fuori».
Ha poi sottolineato quanto gli sia mancata l’efficacia al servizio nei game decisivi:
«Servire con il 56% di prime non basta, non a questi livelli. Ho giocato bene da fondo, sono salito a rete, ma mi è mancata continuità».
A 22 anni, Shelton ha comunque mostrato una crescita evidente, anche nella gestione dei momenti di pressione. La sua corsa si ferma, ma le sensazioni restano positive: da lunedì entrerà nella top 10 e potrà guardare al futuro con ottimismo.
Il futuro è adesso
Sinner ora attende in semifinale il vincente tra Novak Djokovic e Flavio Cobolli, un incrocio che promette suggestioni forti. La possibilità di una sfida con Djokovic su questo palcoscenico avrebbe il sapore della rivincita per l’anno scorso, ma l’azzurro si tiene lontano dai proclami.
«Chiunque sarà, dovrò giocare al massimo. Ma ora mi godo questo successo, Wimbledon ha sempre un’emozione speciale».
La sua corsa sul verde non conosce cedimenti. In ogni scambio, si vede la consapevolezza del leader, la voglia di costruire e non solo vincere. E se anche il gomito tiene, il cielo di Londra potrebbe aprirsi su un finale da sogno.