
ROMA – È un caso destinato a lasciare il segno nei rapporti tra l’Italia e la giustizia internazionale. Il mancato arresto di Najeem Osama Almasri, generale libico ricercato dalla Corte penale internazionale per torture e omicidi, potrebbe costare caro al ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il fascicolo è ora nelle mani del tribunale dei ministri, e nei prossimi giorni si attende la formalizzazione delle conclusioni. Ma gli elementi emersi negli ultimi mesi – e trapelati ora con maggiore chiarezza – mettono sotto pressione non solo il titolare di via Arenula, ma anche l’intera catena di comando politica e amministrativa del governo.
Al centro della vicenda ci sono le tempistiche e modalità con cui il ministero avrebbe gestito l’arresto, avvenuto il 19 gennaio scorso. In Parlamento, Nordio ha dichiarato che la notizia sarebbe stata ricevuta solo da “un dirigente del dipartimento” e soltanto via mail, nella tarda mattinata di domenica. Tuttavia, una ricostruzione parallela racconta altro: documenti interni mostrerebbero che la capo di gabinetto Giusi Bartolozzi era già al corrente della cattura e, quello stesso pomeriggio, avrebbe ordinato ai suoi uffici di mantenere la “massima riservatezza”, indicando anche di usare l’applicazione Signal per tutte le comunicazioni sul tema.
Il nodo delle responsabilità amministrative
In questo contesto, assume particolare rilievo un passaggio delicato: ci sarebbe stata una bozza di nuovo mandato di cattura, redatta dagli uffici proprio per impedire la scarcerazione di Almasri. Il documento, pronto per essere trasmesso alla Corte d’Appello, non sarebbe mai stato inviato. Sarebbe rimasto fermo sulla scrivania della capo di gabinetto, un segnale di inazione che, secondo la procura di Roma, potrebbe configurare una omissione consapevole di atti dovuti.
Bartolozzi, al momento, non risulta iscritta nel registro degli indagati ed è stata ascoltata come persona informata dei fatti, ma non gode delle guarentigie parlamentari che invece proteggono il suo ministro. La sua posizione, se confermata questa ricostruzione, potrebbe aggravarsi nei prossimi passaggi dell’inchiesta. Per Nordio, invece, ogni eventuale procedimento richiederà l’autorizzazione del Parlamento, che la maggioranza appare poco propensa a concedere, almeno allo stato attuale.
Il passaggio chiave con la Corte penale internazionale
Un ulteriore elemento critico è rappresentato da una presunta nota inviata dalla Corte penale internazionale all’Italia, datata 26 giugno. In quel documento, la Corte avrebbe sottolineato che, anche qualora l’arresto di Almasri fosse stato viziato da irregolarità procedurali, il ministero della Giustizia italiano avrebbe potuto – e dovuto – porvi rimedio, trasmettendo la documentazione mancante al procuratore generale. Un passaggio che, se confermato, inchioderebbe la responsabilità del governo su una mancata collaborazione formale con la giurisdizione internazionale.
La posizione della procura di Roma, che ha gestito la fase istruttoria prima del trasferimento al tribunale dei ministri, è chiara: ci sarebbe stata una violazione del dovere d’ufficio, derivante dall’inerzia degli uffici competenti. Una condotta, questa, che avrebbe avuto come effetto concreto la liberazione del generale libico, nonostante la richiesta internazionale di arresto fosse attiva e formalmente notificata.
Palazzo Chigi informato in tempo reale
Un ulteriore snodo dell’inchiesta riguarda la catena politica delle comunicazioni. Dalle testimonianze raccolte nel corso dei mesi emergerebbe infatti che le decisioni prese dal ministero di via Arenula sarebbero state coerenti con una linea concordata con Palazzo Chigi, segno di una regia politica collegiale. Questo elemento spiega la presenza, tra gli indagati, anche della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del sottosegretario Alfredo Mantovano e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, anche se per capi di imputazione differenti (favoreggiamento e peculato).
Secondo quanto trapela, quel filone dell’indagine – originato da un esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti – potrebbe essere archiviato, perché le accuse sembrano non trovare fondamento probatorio sufficiente. Resta invece più solida la posizione della procura su Carlo Nordio, che sarebbe rimasto silente di fronte alla possibilità concreta di fermare Almasri e garantirne la detenzione in base al mandato internazionale.
La replica di Nordio
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio respinge le accuse e passa al contrattacco sul caso Almasri. “Riferiremo in Parlamento quando sarà il momento, però gli atti che abbiamo smentiscono radicalmente quello che è stato riportato sui giornali”, ha dichiarato il Guardasigilli alla vigilia della Conferenza per la ripresa dell’Ucraina, in programma a Roma. Le tensioni si sono riaccese dopo che alcune testate hanno pubblicato conversazioni interne al suo staff, secondo cui il ministero sarebbe stato informato dell’arresto del generale libico già domenica 19 gennaio 2025, e non il giorno seguente come inizialmente dichiarato.