
A un anno dalla tragica morte di Clelia Ditano, la 25enne precipitata nel vuoto l’1 luglio 2024 nel palazzo dove viveva con la famiglia, le indagini della procura di Brindisi escludono il malfunzionamento dell’impianto come causa dell’incidente. Una consulenza tecnica ha fatto luce su quanto accaduto, tracciando uno scenario inquietante: il sistema dell’ascensore sarebbe stato manomesso, provocando l’alterazione dei meccanismi di sicurezza e rendendo così possibile la tragedia.
Leggi anche: “Non è stato un caso”. Clelia muore a 25 anni cadendo nel vano ascensore: svolta nelle indagini
Una notte apparentemente normale
La sera dell’1 luglio 2024, Clelia Ditano aveva trascorso del tempo con amici e familiari. Secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti, attorno alla mezzanotte la giovane era rientrata brevemente in casa, al quarto piano della palazzina in via Piave a Fasano, utilizzando l’ascensore e lasciandone la porta aperta per fare ritorno subito dopo.
Nel tentativo di scendere nuovamente, Clelia avrebbe spalancato la porta dell’ascensore, certa che la cabina si trovasse al piano. Invece, davanti a sé trovò il vuoto. Il passo in avanti fu fatale: precipitò per circa dieci metri, finendo sul tetto dell’impianto fermo al primo piano. Morì sul colpo.

La scoperta della madre e la corsa dei soccorsi
Solo la mattina successiva, verso le sei, i genitori della ragazza iniziarono a preoccuparsi per l’assenza della figlia. Dopo diversi tentativi di contattarla telefonicamente, notarono che il cellulare squillava nelle scale del palazzo. A quel punto, la madre — una donna disabile costretta su una sedia a rotelle — si affacciò al pianerottolo, attirata dal suono della suoneria.
Avvicinandosi alla porta dell’ascensore, rimasta semiaperta, comprese che il suono proveniva dal vano ascensore. La donna aprì del tutto la porta, accorgendosi solo in quell’istante che la cabina non era presente. Riuscì a fermarsi appena in tempo, evitando di cadere a sua volta.
Fu in quel momento che lei e il marito Giuseppe compresero la possibilità che Clelia potesse essere rimasta vittima di un grave incidente. La successiva scoperta del corpo confermò i loro timori.
La consulenza tecnica: impianto funzionante, ma manomesso
A guidare le indagini è la pm Livia Orlando della procura di Brindisi, che ha affidato una perizia approfondita per chiarire la dinamica del fatto. Le conclusioni della consulenza sono chiare: l’ascensore era perfettamente funzionante e i sistemi di sicurezza erano stati alterati da una manomissione esterna.
L’alterazione — di natura meccanica o elettrica — ha compromesso il sistema che impedisce l’apertura della porta del piano quando la cabina non è presente, esponendo così l’utente a un rischio mortale. Questo elemento esclude la responsabilità dell’impianto in sé e sposta l’attenzione su eventuali negligenze o azioni colpose da parte di chi aveva l’onere della manutenzione e della sicurezza del dispositivo.

Quattro indagati per omicidio colposo
Sulla base degli accertamenti compiuti, la procura ha disposto l’iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone. Si tratta dell’amministratore del condominio in via Piave, dell’amministratore legale, del responsabile tecnico e di un operaio della ditta incaricata della manutenzione dell’impianto.
Tutti e quattro rispondono dell’accusa di omicidio colposo, con l’ipotesi che le carenze nella gestione dell’ascensore abbiano favorito o direttamente causato le condizioni che hanno portato alla morte di Clelia. L’inchiesta dovrà stabilire con precisione chi abbia effettuato o permesso la manomissione, e se siano stati rispettati tutti i protocolli di sicurezza previsti dalla legge.
Un dolore che non si placa
La morte di Clelia Ditano ha lasciato un vuoto insanabile nella sua famiglia e nella comunità di Fasano, che si è stretta attorno ai genitori fin dai primi giorni dopo la tragedia. La vicenda ha sollevato interrogativi drammatici sulla sicurezza degli impianti condominiali e sulle responsabilità in materia di manutenzione.
A un anno esatto dall’incidente, l’indagine conferma quanto la famiglia ha sempre temuto: la morte di Clelia non fu una tragica fatalità, ma l’esito di una catena di errori, omissioni o azioni deliberate che hanno permesso il verificarsi di un evento del tutto evitabile.
La ricerca della verità, per i genitori della giovane, è anche un modo per onorare la sua memoria e chiedere giustizia.