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“Non è stato un caso”. Clelia muore a 25 anni cadendo nel vano ascensore: svolta nelle indagini

Pubblicato: 10/07/2025 10:51

La tragedia di Clelia Ditano, la 25enne di Fasano morta precipitando nel vano ascensore del suo palazzo la notte del 1° luglio 2024, assume contorni sempre più inquietanti. Non si sarebbe trattato di un semplice guasto tecnico, ma di una manomissione esterna, di natura meccanica o elettrica, che avrebbe compromesso il sistema di sicurezza delle porte. È questa la conclusione a cui giunge la consulenza tecnica disposta dalla procura di Brindisi, nell’ambito dell’inchiesta per omicidio colposo condotta dalla pm Livia Orlando.

Secondo gli accertamenti, l’impianto risultava formalmente funzionante, ma l’intervento esterno avrebbe generato un’anomalia tale da permettere l’apertura delle porte anche in assenza della cabina. Un dettaglio drammatico: Clelia, convinta di entrare nell’ascensore, è precipitata nel vuoto per quasi dieci metri. A distanza di un anno, oltre al dolore per la perdita, i familiari affrontano lo sconcerto per una morte forse evitabile, causata non dal destino ma dall’assenza di controlli e responsabilità.

L’inchiesta si concentra ora su quattro indagati: l’amministratore del condominio, il responsabile tecnico della ditta, un dipendente e il legale rappresentante dell’azienda di manutenzione dell’ascensore. Per i due principali imputati, il gip Stefania De Angelis ha disposto la misura interdittiva di un anno: non potranno esercitare attività nel settore. I magistrati parlano di «grave negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle normative di sicurezza».

A rendere ancora più inquietante il quadro investigativo è la gestione della documentazione tecnica. I verbali di manutenzione mostrano gravi irregolarità: firme mancanti o apposte da personale non autorizzato, moduli illeggibili, controlli dichiarati ma mai eseguiti. I rapporti del 20 settembre 2023 e 22 marzo 2024 riportano la presenza di fili elettrici rotti, ma l’impianto veniva comunque definito «funzionante e sicuro».

Secondo il giudice De Angelis, il responsabile tecnico non avrebbe mai effettuato i controlli obbligatori previsti per legge. La documentazione prodotta risulta contraddittoria e incompleta, senza alcuna prova concreta di interventi risolutivi. I familiari di Clelia denunciano un sistema privo di trasparenza, dove la superficialità ha trasformato un ascensore in una trappola mortale.

Tutto ruota ora attorno alla perizia tecnica disposta dalla procura, che prenderà il via il 1° agosto. Gli esperti nominati avranno 60 giorni per depositare le conclusioni definitive e stabilire con certezza cosa abbia realmente provocato l’incidente. Saranno analizzati cablaggi, centraline e serrature elettroniche. Ogni elemento potrà essere decisivo.

La famiglia Ditano chiede giustizia e verità. Per Clelia, ma anche per tutti gli altri condomini che avrebbero potuto essere coinvolti. Chiunque, quella notte, avrebbe potuto aprire quella porta: la madre, un vicino, un bambino. La responsabilità, dicono i parenti, è di chi ha ignorato segnalazioni, minimizzato anomalie e firmato controlli mai fatti.

Oggi, le carte dell’inchiesta confermano ciò che la famiglia ha sempre sostenuto: non fu un caso, ma il risultato di gravi omissioni. Il dolore si somma all’indignazione, mentre cresce l’attesa per una risposta definitiva. Le indagini sono ancora in corso, ma un fatto appare già chiaro: Clelia Ditano poteva essere salvata.

E quella porta, quella notte, non si sarebbe mai dovuta aprire.

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