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“Sei guarita? Peccato”. L’orrore contro la giornalista italiana, colpita da una malattia terribile

Pubblicato: 10/07/2025 10:45
tumore hater Sabrina Scampini

La rabbia è diventata un post, la denuncia un atto pubblico. È accaduto nella notte, quando la giornalista Mediaset Sabrina Scampini ha scelto di non tacere davanti all’ennesima ondata d’odio ricevuta sui social. Un gesto forte, meditato, che rompe il silenzio troppo spesso imposto a chi lavora sotto i riflettori. Questa volta, l’attacco ha toccato una ferita personale, scavando oltre la soglia della decenza. E Scampini ha deciso di esporsi, con il coraggio di chi non intende più subire in silenzio.
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Il mondo dei social, luogo in cui ogni giorno si incrociano opinioni, storie e vite, è anche teatro di una violenza verbale crescente. Un’arena dove l’insulto si fa quotidiano, l’invettiva diventa visibilità e l’empatia scompare dietro un nickname. Ma ci sono momenti in cui l’odio supera ogni misura, e allora il silenzio non è più un’opzione.

L’insulto sul tumore e la risposta della giornalista

A scatenare la reazione di Sabrina Scampini è stato un commento scritto da un’hater sotto un suo post: «Eh, ha avuto un brutto tumore. Poi purtroppo è guarita». Una frase che ha ferito non solo lei, ma anche chi le vuole bene. La giornalista, che in passato ha affrontato una battaglia contro il cancro, ha scelto di rendere pubblico l’insulto, screenshotandolo e condividendolo su Instagram.

«I commenti odiosi normalmente li ignoro, altrimenti non potrei fare questo lavoro», ha scritto. «Però ci sono volte in cui esagerano e allora mi arrabbio». Una rabbia lucida, trasformata in un gesto concreto: la denuncia. «Quindi ora denuncio la signora – ha dichiarato – e spero che abbia un amico che le tolga i social e le faccia capire che persona miserabile ritrova allo specchio. Se non ha nessuno, glielo spiegheranno in tribunale».

L’appello contro l’odio in rete: “Non colpisce solo me”

Nel suo lungo post, Scampini ha messo in luce una questione più ampia: la violenza verbale online non ferisce solo chi la riceve in prima persona, ma colpisce anche chi le sta accanto. «Io me ne frego degli insulti, però ho anche una famiglia che non si capacita della miseria umana», ha scritto, rivelando quanto il peso dell’odio si allarghi come un’onda.

Il suo monito, però, è rivolto anche a chi può essere più fragile: «Ci sono altre persone che, attaccate, possono stare male ricevendo inviti alla morte e alla malattia, e questo non va bene». Parole che diventano un grido contro un fenomeno sempre più diffuso, quello degli attacchi mirati alle fragilità altrui, alle storie di malattia, lutto o sofferenza, usate come strumenti di disprezzo.

La riflessione sull’uso dei social e la solidarietà dei colleghi

Scampini non si è limitata alla denuncia, ma ha lanciato anche una riflessione sull’accesso ai social: «Lo dico sempre: c’è troppa democrazia. I social non andrebbero lasciati a tutti. Di sicuro non alla gentile signora». Un pensiero provocatorio, ma che apre una discussione concreta: serve un maggiore controllo sull’identità degli utenti, per prevenire abusi e violenza.

La reazione del pubblico è stata immediata. Tantissimi i messaggi di solidarietà, a cominciare da utenti comuni che chiedono l’introduzione dell’identificazione obbligatoria per accedere ai social. «Fai benissimo. Bisognerebbe accedere ai social con un documento di identità obbligatorio», ha scritto un follower. Un altro ha commentato: «Hai ragione Sabrina, hai tutto il mio supporto».

Accorato anche il messaggio della collega Francesca Barra, che ha voluto esprimere il suo affetto: «Che schifo, che miseria umana. Mi dispiace tanto. Ho dovuto leggere due volte perché non potevo crederci. Ti voglio bene. Che il bene e la bellezza ogni giorno schiaccino questa crudeltà».

Un gesto che apre una strada

Denunciare un episodio di odio sui social può sembrare un piccolo gesto, ma ha un valore enorme in termini simbolici. Sabrina Scampini ha deciso di non proteggersi con il silenzio, ma di trasformare l’insulto in un’occasione di dibattito, in una presa di posizione pubblica che chiede rispetto, dignità e giustizia.

Il suo caso dimostra quanto sia urgente una riflessione collettiva sull’uso dei social media, sulla responsabilità individuale e sul diritto a non essere aggrediti verbalmente, soprattutto su temi così delicati come la salute. Perché, come ha scritto lei stessa, certe parole possono fare davvero male. E chi le pronuncia deve risponderne.

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Ultimo Aggiornamento: 10/07/2025 11:14

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