
C’è chi ha combattuto per qualche mese, chi per qualche anno. E poi c’è chi, come lui, ha combattuto per tutta la vita. Non con le armi, dopo la guerra, ma con le idee, con il lavoro, con l’impegno civile. Aveva imparato presto che la libertà non è un bene garantito e che ogni conquista va custodita come si fa con un seme. E così ha fatto, fino all’ultimo giorno dei suoi 99 anni.
Il suo nome di battaglia era Tempesta, e lo fu davvero. Per il coraggio, per la determinazione, per quella forza gentile che lo ha reso un punto di riferimento nel suo territorio, ben oltre la fine del conflitto. È morto Franco Guazzaloca, uno degli ultimi partigiani bolognesi ancora in vita, protagonista della Resistenza, sindacalista e militante comunista.
Nato il 23 febbraio 1926 a Zola Predosa, alle porte di Bologna, Guazzaloca si unì giovanissimo alla lotta partigiana. Venne riconosciuto partigiano con il grado di sottotenente dal 20 giugno 1944 fino alla Liberazione. Militò nel battaglione Zini della 63esima brigata Bolero Garibaldi, operando nella sua stessa terra, Zola. Per la sua attività antifascista fu arrestato e rimase in carcere per 25 giorni.
La fine della guerra non segnò per lui un ritorno alla normalità, ma l’inizio di un’altra forma di militanza. Entrò nel sindacato, partecipò attivamente alla vita politica e amministrativa del suo Comune. Fu figura centrale nel Partito Comunista Italiano, contribuendo alla nascita della Casa del Popolo e della Polisportiva Zola. Un uomo che ha vissuto con coerenza ogni fase della sua vita, come testimoniato dal libro-intervista “Il mio nome era Tempesta”, scritto da Federico Cinti e pubblicato quattro anni fa.
La sua morte segna non solo la fine di una vita centenaria, ma la perdita di una memoria viva, quella di chi ha visto e vissuto la storia dalla parte di chi lottava per un mondo più giusto.