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Fabrizio Corona condannato: cos’ha fatto questa volta. “Un sacco di soldi”

Pubblicato: 11/07/2025 10:15
Corona condannato risarcire giudice

La comunicazione social ha cambiato il modo di raccontare se stessi, di influenzare l’opinione pubblica e, in casi estremi, di costruire veri e propri atti dimostrativi. In questo nuovo scenario, Fabrizio Corona, ex fotografo dei vip ed ex detenuto, ha spesso scelto un linguaggio eclatante, fatto di frasi forti, immagini scioccanti, messaggi diretti. La sua è una narrazione in cui il confine tra provocazione e offesa, tra spettacolo e aggressione, è stato spesso superato.
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Negli anni ha costruito attorno a sé una figura pubblica controversa, in bilico tra vittimismo e sfida. Ma l’episodio che ora lo ha portato a una nuova condanna civile non si è fermato al piano mediatico: ha avuto conseguenze dirette, non solo su di lui, ma anche su chi è stato bersaglio delle sue invettive.

Le accuse al magistrato e la gogna social

Il fatto risale all’11 marzo 2021, quando il Tribunale di sorveglianza di Milano, presieduto dalla giudice Marina Corti, revocò a Corona la detenzione domiciliare concessa per motivi sanitari. L’ex “re dei paparazzi” aveva infatti violato diverse prescrizioni previste dal regime alternativo alla detenzione. Poco prima che gli agenti bussassero alla sua porta per notificargli il provvedimento, Corona pubblicò su Instagram una serie di video che mostravano il suo volto insanguinato e le braccia tagliate, con frasi dirette alla giudice.

«Guardalo il sangue, dottoressa Corti. Non hai idea di quello che farò in carcere», urlava nel video. E ancora: «Questo è solo l’inizio. Sono pronto a togliermi la vita. Avete creato un mostro». Parole pesanti, immagini forti, dirette a una figura istituzionale che, in quel momento, stava esercitando le sue funzioni. Una gogna mediatica che ha spinto le autorità a mettere sotto vigilanza la casa del magistrato per tutelarne la sicurezza personale.

La condanna del Tribunale di Brescia

A distanza di tre anni da quei fatti, il Tribunale civile di Brescia, competente per i procedimenti contro magistrati milanesi, ha condannato Fabrizio Corona a risarcire Marina Corti con 36 mila euro per i danni subiti, oltre a 7.700 euro per spese e compensi legali. Il giudice Alfredo De Leonardis, nella sua motivazione, ha parlato di accuse gravissime e infondate, che hanno leso in modo diretto l’onorabilità e la reputazione professionale del magistrato.

Il messaggio diffuso da Corona, scrive il giudice, trasmetteva l’idea che la giudice non agisse con imparzialità, ma fosse mossa da intenzioni persecutorie e addirittura disposta a «scrivere il falso» negli atti giudiziari. Si tratta, ha spiegato, di «una delle accuse più gravi che si possano rivolgere a un magistrato».

Gesti eclatanti per attirare follower

Durante il procedimento, Corona ha ammesso di aver compiuto quei gesti – tra cui il tagliarsi le braccia e imbrattarsi il volto di sangue – anche per attirare l’attenzione dei follower sui social. Un’ammissione che per il giudice costituisce la prova della «piena consapevolezza» della diffamazione. Non si è trattato, quindi, di uno sfogo emotivo ma di una scelta lucida, indirizzata alla propria audience, costruita per ottenere visibilità e consenso.

Corona si è difeso invocando il diritto di critica e libertà di espressione, ma per il tribunale le sue parole hanno superato il limite: non si è trattato di una critica legittima a un provvedimento, bensì di minacce e offese personali rivolte a un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni.

Una sentenza simbolica

Il Tribunale ha stabilito inoltre che Fabrizio Corona dovrà pubblicare la sentenza a proprie spese sui siti web di quattro quotidiani nazionali. Una misura simbolica e concreta insieme, per ristabilire la verità giudiziaria nei confronti di una figura pubblicamente delegittimata.

Il fatto che la decisione di riportarlo in carcere sia poi stata annullata dalla Cassazione per difetto di motivazione non giustifica – sottolinea il giudice – la modalità della protesta. La via corretta era quella intrapresa dai suoi legali, che hanno ottenuto ragione nelle sedi opportune. La denigrazione pubblica dei magistrati non rientra in nessun diritto tutelato, nemmeno da quello alla libertà di parola.

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