
Nel suo attesissimo primo libro, Fedez si svela con una sincerità disarmante, offrendo uno sguardo crudo e intimo sui momenti più bui della sua vita.
Attraverso estratti condivisi sulle sue storie Instagram, il rapper milanese ha anticipato pagine cariche di dolore, riflessioni e rivelazioni, toccando temi delicati come la crisi coniugale con Chiara Ferragni, la sua controversa partecipazione a Sanremo e il drammatico racconto del tentato suicidio, già accennato nel brano “Allucinazione collettiva”. Le sue parole dipingono un quadro complesso, in cui la fragilità umana si scontra con la pressione della fama e le insidie della malattia mentale.
La caduta dal palco dell’Ariston
Il viaggio introspettivo di Fedez inizia rievocando il palco del Festival di Sanremo, un luogo che, per sua stessa ammissione, ha segnato “la fine di tutto”. Lì, all’Ariston, ha presentato “Battito”, un pezzo nato per esplorare il suo difficile rapporto con gli psicofarmaci. Le sue parole aprono uno squarcio su un conflitto interiore devastante: “Uno scontro tra due parti di sé stessi, che non prevede che entrambe sopravvivano. Il corpo resterà in vita dopo l’amputazione?”. Fedez si descrive come incapace di gestire il caos, la sua mente in mille luoghi contemporaneamente: “In tutte le case dell’ultimo anno, su tutti i letti d’ospedale, sui divani dei litigi, nei locali dove mi sono rifugiato e ho fatto casini. Davanti alle facce che ho lasciato si coprissero di lacrime, le facce di chi, sfinito, sfinita, mi ha detto basta.”
La crisi con Chiara Ferragni, secondo quanto emerge dagli estratti, avrebbe avuto inizio proprio dopo Sanremo 2023, complice anche il discusso bacio con Rosa Chemical. Il rapper rivela di aver interrotto bruscamente l’assunzione dei farmaci, contravvenendo a ogni indicazione specialistica. Questo gesto sconsiderato ha innescato una spirale discendente, un tunnel senza via d’uscita. “Ho tenuto gli occhi chiusi per non essere travolto, per arrivare alla fine della sola canzone che avrei potuto cantare in questo momento: tornare su quel palco, dove è iniziata la fine di tutto. Dove ho esagerato, mi è stato detto, urlato. Dove non ho avuto rispetto. Tornarci con un pezzo che è stato il mio modo di vedere davvero quello che ci è successo, quello che ho fatto. Poi ho aperto gli occhi, le pupille nere, ultradilatate. Petrolio, buco nero. ‘Il paziente non è cosciente’.”

Fama, malattia e la lotta per l’identità
La riflessione di Fedez si estende poi al legame tra sostanze, farmaci, identità e fama. “Come con le sostanze, come coi farmaci che avrebbero dovuto salvarmi e non l’hanno fatto. Questa che leggerete è la storia di uno che non ce l’ha fatta.” L’artista smonta la percezione pubblica di lui come un manipolatore o stratega, rivelando una profonda passività di fronte agli eventi della sua vita. “Le persone credono che io decida, pianifichi, organizzi: io sono il manipolatore, lo stratega, io sono la falena. Ma la verità è che, dall’inizio, c’è una parte di me che non ha deciso quasi niente. Sin dal principio è stata una corsa, una fuga. Assecondare tutti gli impulsi, specie quelli sbagliati.”
La fama viene descritta come un “girone infernale”, un massacro che tutti amano spiare. Fedez confessa di aver quasi smesso di vivere, tormentato da demoni senza volto o con il suo stesso volto, dagli occhi neri come i suoi a Sanremo. Questa condizione lo spinge a cercare costantemente compagnia, pur riconoscendo che le persone che frequenta spesso soffrono della stessa patologia, un senso di vuoto e instabilità che sembra accomunarli.
L’abisso del tentato suicidio
Il secondo estratto è il più lacerante, un racconto intimo e disturbante del tentato suicidio. Fedez ne descrive la genesi, sottolineando come il “prima” sia stato ben più devastante dell’atto stesso. “Non è il salto. Non è il colpo. Non è l’atto in sé. È tutto quello che succede prima. È la gestazione. Figlia di un lungo periodo di progettazione di tale atto. Un feto che cresce nel buio del cranio, che ti sussurra piano, ogni giorno, ‘basta’.”
A innescare questa crisi profonda è stata la sospensione improvvisa degli psicofarmaci, paragonata a gettare via un pacchetto di sigarette vuoto. “Uno dice: ‘sono solo pillole’. Ma quelle bastarde erano diventate la mia pelle, la mia lingua, il mio pensiero. E quando le ho mollate, il cervello ha cominciato a urlare. Come quando ti disintossichi dall’eroina.” Dieci giorni di agonia fisica e mentale, crampi, gambe come blocchi di carne molle, sogni che si confondevano con la realtà. “Un tunnel. Ma mica con la luce in fondo. Solo cemento e buio e i miei occhi. Il dopo è stato peggio. Perché il corpo ha smesso di tremare, ma la testa era una stanza chiusa a chiave. Il mio cervello gridava per avere la sua dose e non c’era nessuno.”