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Garlasco, il terzo uomo: scoperto un Dna maschile nella bocca di Chiara Poggi. L’ipotesi atroce

Pubblicato: 12/07/2025 07:26

Una traccia genetica rimasta sepolta per diciott’anni. Non appartiene né ad Alberto Stasi né ad Andrea Sempio. È un profilo Y maschile, emerso solo ora da un tampone orofaringeo mai analizzato. Intanto spunta anche il sangue di Marco Poggi sul tappetino del bagno.

Era lì dal 2007. Conservato tra i reperti dell’autopsia, raccolto con meticolosità dal medico legale Marco Ballardini, ma mai analizzato. Un tampone orofaringeo, uno dei cinque effettuati durante l’esame autoptico sul corpo di Chiara Poggi, uccisa nella sua abitazione di Garlasco il 13 agosto di diciotto anni fa. A riaccenderne la luce è stata la nuova inchiesta aperta dalla Procura di Pavia, che ha recuperato l’intero materiale nell’ambito del maxi-incidente probatorio oggi in corso. Ed è lì, su quella garza, che è emerso un Dna maschile ignoto, in quantità definita “importante”.

La genetista Denise Albani, incaricata dal giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli, ha identificato un profilo Y, che nella terminologia scientifica indica la presenza di materiale genetico maschile. Ma, al di là del dato tecnico, ciò che conta è l’esclusione: il Dna non appartiene né ad Alberto Stasi, l’ex fidanzato condannato in via definitiva a sedici anni di carcere, né ad Andrea Sempio, l’amico di Marco Poggi ora indagato per omicidio in concorso.

Una traccia dimenticata per diciott’anni

Nel dettaglio, le cinque garze utilizzate per l’autopsia erano state impiegate per campionare diverse zone della bocca della vittima. Quella che ha rivelato il nuovo Dna era stata posizionata nella zona centrale del cavo orale. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’esame su questo reperto non era mai stato svolto prima e solo oggi, dopo la sua acquisizione nei fascicoli della nuova inchiesta, è stato possibile attivare le analisi genetiche.

Non tutte le tracce rilevate, però, sono compatibili con un contesto delittuoso. Su un’altra garza – quella usata per il lato destro dell’interno bocca – è stato identificato un secondo profilo maschile, risultato essere una contaminazione da parte di un tecnico di laboratorio. Questo secondo riscontro è stato già scartato come irrilevante.

Una scena del crimine affollata

Il nuovo profilo genetico maschile va ora ad aggiungersi ad altri due già emersi in questi anni. Il primo, definito “Ignoto 2”, era stato isolato nel 2016 dai genetisti Avato e Linarello, su una delle unghie della mano sinistra della vittima (precisamente l’anulare). Quella scoperta venne poi confermata da due diverse consulenze genetiche: quella di parte, firmata Ricci Roewer, e quella della Procura, redatta da Previderè Grignani. Ma anche questa nuova traccia non coincide con “Ignoto 2”.

Quanto alle altre impronte, il Dna rinvenuto su pollice sinistro e anulare destro di Chiara sarebbe invece riconducibile – secondo l’interpretazione degli inquirenti – proprio ad Andrea Sempio. Anche la comparazione con le tracce biologiche rilevate sull’“impronta 13”, una forma lasciata da quattro dita sulla parte interna dell’anta fissa della porta della cucina, ha dato esito negativo. Questo segno, anche se repertato all’epoca, è stato analizzato solo di recente: le nuove analisi hanno isolato sei marcatori, insufficienti per un’identificazione certa, ma abbastanza per escludere la compatibilità con il nuovo profilo Y.

Sangue di Marco Poggi nel bagno

La scena del delitto, a questo punto, appare ancora più intricata. Non solo per la pluralità di tracce genetiche rilevate, ma anche per una nuova presenza biologica individuata nei rilievi più recenti. Sul tappetino del bagno della villetta è stato infatti isolato un profilo genetico compatibile con Marco Poggi, il fratello della vittima. La sua presenza in casa era nota, ma questo reperto – unito al resto – contribuisce a ridisegnare una mappa biologica più ampia e potenzialmente determinante.

A margine, va ricordato che proprio nella relazione autoptica del dottor Ballardini si faceva già riferimento alla possibile presenza di due diverse armi utilizzate nell’aggressione: un elemento che potrebbe confermare l’ipotesi investigativa attuale, secondo cui più soggetti potrebbero aver preso parte all’omicidio.

L’ipotesi del morso e la cornetta del telefono

Se le analisi in corso confermeranno la rilevanza forense della nuova traccia, l’ipotesi investigativa che prende corpo è quella di un contatto diretto con la vittima al momento dell’aggressione. In particolare, gli inquirenti ipotizzano che Chiara possa aver ricevuto una mano sulla bocca per impedirle di gridare, e che abbia reagito mordendo, trattenendo così nel cavo orale la saliva dell’aggressore. La dinamica sarebbe compatibile con il ritrovamento di una macchia di sangue sotto la cornetta del telefono fisso, una goccia mai analizzata nel 2007 dai RIS.

Oggi, quella macchia è tornata al centro dell’attenzione. Secondo i primi riscontri, il sangue avrebbe un angolo di inclinazione di 19 gradi: un dettaglio tutt’altro che banale. Significa, secondo i periti, che la goccia non si sarebbe potuta formare a telefono chiuso, ma solo se qualcuno lo avesse sollevato nel tentativo – interrotto – di chiamare aiuto.

La difesa della famiglia Poggi prende tempo

In serata, a provare a ridimensionare il clamore della scoperta è stato l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi. “Non ci sono Dna di soggetti sconosciuti sulla scena del crimine e tanto meno sul corpo di Chiara”, ha dichiarato inizialmente, salvo poi correggere il tiro e invocare prudenza, in attesa degli sviluppi. L’analisi del Dna sulla garza, ha ammesso, non è ancora conclusiva, ma non può essere ignorata.

Il tampone orofaringeo – dicono fonti investigative – è il reperto con la maggiore quantità di materiale genetico identificato finora e in condizioni particolarmente integre. Per questo motivo è diventato un fulcro delle indagini, anche alla luce della possibilità che Chiara abbia avuto un contatto fisico diretto con il suo assassino.

Una scena che parla ancora

A distanza di diciotto anni, l’omicidio di Chiara Poggi torna a interrogare l’opinione pubblica e la giustizia. La condanna definitiva di Alberto Stasi nel 2015 aveva chiuso formalmente il processo, ma non ha mai chiuso il caso nella coscienza collettiva. Ora, tra nuovi profili genetici, impronte riesaminate, e vecchi reperti tornati sotto la lente, la scena del crimine sembra parlare ancora. E non è detto che abbia detto tutto.

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