
Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea rischiano di avere un impatto pesantissimo sull’economia italiana. Se Donald Trump confermasse i dazi attuali, per l’Italia si tratterebbe già di una perdita da 3,5 miliardi in mancate esportazioni.
Ma nel caso in cui venissero innalzati al 20%, il conto salirebbe a 12 miliardi di euro. Un colpo durissimo per un Paese fortemente orientato all’export, soprattutto verso il mercato americano, che nel 2024 ha assorbito oltre 64 miliardi di euro di prodotti Made in Italy.
I dubbi su domanda e prezzi
Secondo i dati dell’Ufficio studi Cgia, basati su elaborazioni Ocse, l’impatto dipenderà da due domande chiave: i consumatori e le aziende USA continueranno a comprare beni italiani, nonostante il rincaro? E le nostre imprese saranno in grado di assorbire l’aumento dei costi, senza trasferirli sul prezzo finale? La Banca d’Italia osserva che il 92% dei prodotti esportati negli USA è di fascia alta o media, rivolto a clienti con redditi elevati, potenzialmente meno sensibili agli aumenti.
Ciononostante, un eventuale calo della domanda potrebbe essere compensato da una riduzione dei margini: l’export verso gli USA pesa per il 5,5% del fatturato delle aziende italiane esportatrici, e il margine operativo lordo medio si attesta attorno al 10%. Dunque, il sistema produttivo potrebbe reggere, ma non senza contraccolpi.

Il Mezzogiorno più vulnerabile
Le regioni più esposte all’effetto dazi sono quelle con un export poco diversificato. In particolare, il Mezzogiorno rischia grosso: la Sardegna ha un indice di diversificazione del 95,6%, trainato quasi esclusivamente dalla raffinazione del petrolio.
Il Molise segue con l’86,9%, dipendendo da chimica, plastica e auto; la Sicilia è all’85%. A ogni nuovo dazio imposto su singoli comparti, queste regioni perdono un pezzo importante della loro capacità di stare sui mercati internazionali.
Puglia, l’eccezione virtuosa
Fa eccezione la Puglia, che con un indice al 49,8% si colloca tra le prime tre regioni d’Italia per diversificazione dell’export. Una struttura produttiva più bilanciata consente al tessuto economico pugliese di assorbire meglio eventuali shock commerciali, come quelli generati da nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti.
A livello nazionale, le categorie più esposte sono quelle che trattano in prodotti chimici e farmaceutici, autoveicoli, navi e imbarcazioni e macchine d’impiego generale, che rappresentano oltre il 40% dell’export italiano verso gli Usa. Anche se gli operatori diretti sono poco meno di 44mila imprese, va considerato anche il vasto indotto non rilevato dalle statistiche ufficiali, che amplifica l’impatto economico potenziale.
In attesa di capire la direzione che prenderà la politica commerciale americana, l’Italia deve prepararsi a ogni scenario: per alcune regioni potrebbe essere una tempesta perfetta, per altre l’occasione di confermare una resilienza costruita su basi più solide.