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Dazi, la risposta dell’Ue a Trump: pacchetto di controdazi da 90 miliardi

Pubblicato: 14/07/2025 09:28
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La strategia europea non è mai stata quella del colpo di teatro. In un contesto internazionale sempre più instabile, Bruxelles ha preferito, finora, camminare in equilibrio tra la fermezza diplomatica e la prudenza tattica. Ma con il ritorno di Donald Trump sulla scena politica e il moltiplicarsi di provocazioni commerciali da parte di Washington, il margine per restare immobili si assottiglia ogni giorno di più. Da mesi si discute nei corridoi della Commissione, nelle riunioni tecniche tra i 27, nei Consigli ristretti a Bruxelles. Ora, le carte sono sul tavolo.
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C’è una differenza sostanziale tra la deterrenza e la minaccia: la prima si basa su strumenti reali e pronti all’uso. La seconda spesso è solo retorica. La Commissione europea, spinta dalle pressioni di alcuni Stati membri e dal timore crescente di perdere centralità economica, ha scelto di trasformare la prima in realtà. Il messaggio è chiaro: l’Unione europea non starà a guardare mentre vengono colpiti i suoi interessi strategici. E le misure di ritorsione ora prendono forma concreta.

Il primo pacchetto: controdazi simbolici e mirati

Il primo strumento è già pronto da mesi, caricato e messo da parte in attesa del momento opportuno. Si tratta di un pacchetto di controdazi mirati su circa 21 miliardi di euro di importazioni statunitensi, in particolare prodotti che rappresentano l’identità dell’America profonda e trumpiana. Nella lista compaiono Harley-Davidson, jeans, ma anche beni provenienti da aree elettorali cruciali per il partito repubblicano come la soia della Louisiana, le carni del Midwest e il legname della Georgia.

Questi dazi europei erano stati inizialmente sospesi su richiesta degli Stati membri quando Trump, dopo l’introduzione dei suoi dazi su acciaio e alluminio il 12 marzo, aveva concesso una tregua a chi non aveva reagito. Ora, nonostante gli Stati Uniti abbiano raddoppiato i dazi dal 25% al 50%, l’Europa ha prorogato la sospensione solo fino al 1° agosto, quando potrebbero effettivamente entrare in vigore in assenza di un accordo.

Il secondo pacchetto: 72 miliardi di euro nel mirino

Il vero peso politico ed economico arriverà però con il secondo pacchetto di dazi, che colpirà oltre 70 miliardi di euro di merci statunitensi. Inizialmente pensato per una soglia di 95 miliardi, il pacchetto è stato ridimensionato in seguito alle pressioni dei governi europei, desiderosi di proteggere i propri settori industriali più esposti.

La versione aggiornata sarà presentata nel Consiglio europeo sul commercio, e prevede tariffe su una vasta gamma di beni, tra cui carni, superalcolici, autoveicoli, macchinari industriali, prodotti chimici, dispositivi medici, apparecchiature elettroniche e anche aerei Boeing. Si tratta di un attacco su più fronti, costruito per rispondere alla strategia americana delle cosiddette super tariffe reciproche.

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La terza via: limitazioni sulle esportazioni europee

Tra le novità in discussione, è emersa anche la possibilità di un terzo pacchetto di ritorsioni, questa volta in senso inverso: l’Europa potrebbe vietare alle proprie aziende di esportare verso gli Stati Uniti alcuni prodotti chiave per l’industria americana, come i rottami di alluminio. Non si tratterebbe quindi di un dazio diretto, ma di una restrizione pensata per creare sofferenza produttiva e mettere in difficoltà le catene di approvvigionamento statunitensi.

La misura, se attuata, rappresenterebbe un cambio netto nella filosofia commerciale europea, storicamente orientata alla liberalizzazione degli scambi, ma ora costretta a confrontarsi con una logica sempre più improntata allo scontro geopolitico.

La carta Big Tech e lo strumento anti coercizione

Ma la vera sfida potrebbe giocarsi su un piano diverso, quello delle misure non tariffarie. Due strumenti emergono su tutti. Il primo è la tassa sul fatturato dei servizi digitali, ovvero un’imposta sui giganti americani del web – da Google a Meta – che colpirebbe il core business di Big Tech. Malgrado Trump abbia ottenuto una tregua sull’argomento durante l’ultimo G7, l’ipotesi resta politicamente viva.

Il secondo è lo strumento contro la coercizione economica, introdotto alla fine del 2023 per reagire a minacce da parte di Paesi considerati regimi autoritari, come la Cina. Questo meccanismo permette alla Commissione europea di attuare sanzioni severe, fino a escludere dal mercato unico le imprese di un Paese considerato colpevole di pressioni economiche indebite. Applicarlo agli Stati Uniti, però, avrebbe un impatto politico enorme e segnerebbe un punto di non ritorno nei rapporti transatlantici.

La posta in gioco per l’Unione europea

L’Europa si trova davanti a un bivio complesso. Da un lato, la necessità di difendere i propri interessi economici, colpiti da misure unilaterali sempre più aggressive. Dall’altro, la volontà di non compromettere in modo irreversibile il rapporto con un alleato strategico, per quanto imprevedibile come Trump. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha ribadito che “non siamo ancora a quel punto”. Ma l’impressione è che il punto si stia avvicinando.

Nel frattempo, le armi commerciali dell’Unione europea sono caricate e pronte. E anche se nessuna di esse è ancora stata utilizzata, la loro sola esistenza rappresenta un segnale forte: se Washington alzerà il livello dello scontro, Bruxelles non resterà a guardare.

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