
Un’ombra oscura si è abbattuta su Solero, in provincia di Alessandria, dove il 16 ottobre scorso la vita di Patrizia Russo, insegnante di sostegno di 53 anni, è stata brutalmente spezzata. Un omicidio efferato che ha visto come protagonista il marito, Giovanni Salamone, 62 anni, originario di Agrigento, ora condannato all’ergastolo per un crimine che ha scosso profondamente la comunità.
La tragedia di una nuova vita
Patrizia Russo e Giovanni Salamone si erano da poco trasferiti a Solero, spinti da nuove opportunità lavorative per Patrizia. Lei, insegnante di sostegno, aveva intrapreso un nuovo incarico scolastico, un passo verso un futuro che sperava sereno. Invece, quella casa, simbolo di un nuovo inizio, si è trasformata nella scena di un delitto efferato. La donna è stata colpita con sette coltellate, un numero che testimonia la furia omicida del marito. Subito dopo l’atroce gesto, Salamone ha chiamato i carabinieri, confessando l’omicidio e pronunciando parole sconvolgenti: “Sono stato posseduto da Satana“. Un’affermazione che ha aperto interrogativi sulle sue condizioni mentali, ma che non ha scalfito la gravità del suo atto.

Omicidio Patrizia Russo, arriva la condanna all’ergastolo per il marito killer
Nonostante la richiesta della Procura di 21 anni di carcere, la Corte d’Assise ha deciso per la massima pena: l’ergastolo. Una sentenza che sottolinea la ferma volontà della giustizia di non concedere sconti di pena di fronte alla brutalità di un femminicidio. Questa decisione riflette non solo la gravità inaudita dell’omicidio, ma anche le circostanze che lo hanno contornato, incluse le controverse dichiarazioni dell’imputato e le sue presunte condizioni mentali. La rapidità con cui la Camera di Consiglio ha deliberato, “poco dopo le 12 alle 13.30”, ha lasciato all’avvocato difensore l’impressione che “la decisione fosse già stata maturata”, un segno della determinazione della Corte nel raggiungere un verdetto chiaro e inequivocabile.
La difesa e il ricorso in appello
La difesa di Salamone, inizialmente affidata agli avvocati Elisabetta Angeleri e Gianfranco Foglino e successivamente ripresa dall’avvocato Salvatore Pennica del Foro di Agrigento, si è basata su argomentazioni complesse e delicate. Pennica ha sostenuto che Salamone avrebbe agito in un momento in cui non era in grado di intendere e di volere, escludendo così il dolo e chiedendo l’assoluzione. In via subordinata, aveva proposto l’opportunità per l’imputato di accedere alla giustizia riparativa, una via innovativa prevista dalla Riforma Cartabia, o in ulteriore subordine, una decurtazione di un terzo della pena richiesta dall’accusa. Le condizioni personali di Salamone, che soffriva di depressione e viveva un periodo di forte disagio economico a causa della disoccupazione, sono state presentate come elementi attenuanti. Dopo l’arresto, il gesto disperato di un tentato suicidio in carcere ha ulteriormente evidenziato il suo stato di profonda prostrazione. Tuttavia, la Corte non ha accolto alcuna di queste argomentazioni difensive. “Leggeremo le motivazioni, ma al 100% andremo in appello”, ha dichiarato l’avvocato Pennica, esprimendo rispetto per la sentenza ma al contempo una ferma determinazione a proseguire la battaglia legale, convinto che “niente di quanto da noi proposto è stato accolto” e che “la sintesi non può andare a discapito delle ragioni della difesa”.

Il dolore dei figli e il risarcimento
I due figli della coppia, assistiti dagli avvocati Maria Luisa Butticè e Annamaria Tortorici, si sono costituiti parte civile nel processo. La loro presenza ha sottolineato la dimensione più intima e straziante di questa tragedia familiare. La Corte ha disposto un risarcimento provvisorio di 250 mila euro per ciascuno di loro, un riconoscimento economico del dolore immenso e della perdita irreparabile subita. Questo risarcimento, seppur parziale, rappresenta un tentativo di lenire le ferite di un trauma che segnerà per sempre le loro vite. Le parole di Salamone ai carabinieri, “Mi volevano fregare i soldi. Non so spiegare chi e come. Ero posseduto da Satana”, hanno aggiunto un velo di follia e disperazione a una vicenda già di per sé macabra, lasciando un’eredità di interrogativi e un dolore incommensurabile per i figli e per tutti coloro che conoscevano Patrizia Russo.