
Un nuovo bombardamento israeliano ha colpito la città di Nuseirat, nella Striscia di Gaza, uccidendo sei bambini e quattro adulti. Le vittime si trovavano in fila per ricevere acqua potabile, quando un missile, che secondo l’esercito israeliano (Idf) era destinato a un “membro della Jihad Islamica”, ha mancato il bersaglio e ha colpito un’area civile. Un nuovo episodio che alimenta l’indignazione e il dolore di una popolazione già allo stremo dopo mesi di guerra.
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Secondo quanto dichiarato dalle Forze armate israeliane, si sarebbe trattato di un «errore tecnico». Il missile, armato per un’operazione mirata, sarebbe esploso «a decine di metri dall’obiettivo previsto», finendo per colpire un gruppo di persone — tra cui molti minori — in fila per l’acqua potabile distribuita con autobotti.

Uccisi mentre cercavano acqua
Le dieci vittime — tra cui sei bambini assetati — avevano percorso circa due chilometri tra macerie e polvere per raggiungere uno dei pochi punti di distribuzione dell’acqua ancora attivi a Nuseirat, nel centro della Striscia. Una zona che da mesi vive sotto i bombardamenti, dove l’accesso ai beni essenziali è ormai impossibile per la maggior parte della popolazione.
«L’incidente è attualmente oggetto di indagine. Siamo a conoscenza di segnalazioni riguardanti vittime nell’area e stiamo esaminando i dettagli», ha riferito l’esercito israeliano in un comunicato. Ma la spiegazione non placa la rabbia. Sul posto era presente anche Ramadan Nassar, cittadino palestinese che ha testimoniato alla Associated Press quanto accaduto: secondo lui, in quel momento c’erano una ventina di bambini e 14 adulti in attesa dell’acqua.
Testimonianze senza filtro
In assenza di una stampa internazionale indipendente — a cui Israele continua a negare l’accesso a Gaza — le testimonianze locali rappresentano l’unico mezzo per conoscere la realtà sul terreno. Secondo Nassar, dopo l’impatto del missile, «chi non è morto sul colpo è fuggito come poteva, ma alcuni sono caduti feriti, troppo gravi per riuscire a scappare».
Le immagini diffuse sui social e dai media palestinesi mostrano ancora una volta i corpi avvolti in lenzuola bianche, lo strazio dei sopravvissuti e lo scenario di devastazione che si ripete con drammatica regolarità. Anche se è difficile verificarne con certezza la provenienza, le fotografie da Gaza mostrano volti e storie che non possono essere ignorati.

La strage quotidiana e i numeri del conflitto
Il bombardamento di Nuseirat è solo uno degli ultimi episodi di una guerra che non si ferma. Solo sabato, secondo fonti locali, sono stati uccisi oltre 100 palestinesi, mentre domenica il bilancio è salito di «almeno 74 vittime», secondo le autorità sanitarie della Striscia, che rispondono al governo di Hamas.
Dal 7 ottobre, il numero totale dei morti ha superato i 58.000, secondo gli stessi dati. Di questi, 833 erano operatori sanitari, e 5.432 sono rimasti feriti. L’ultima vittima tra i soccorritori è Ahmed Qandil, medico specializzato in chirurgia generale e laparoscopica, ucciso insieme ad altri dieci palestinesi a Gaza City. Si stava recando all’ospedale battista Al-Ahli, ma il suo corpo è arrivato prima di lui.
Nel frattempo, l’Idf ha dichiarato di aver colpito «più di 150 obiettivi terroristici» a Gaza nelle ultime 24 ore, confermando il proseguimento delle operazioni militari su larga scala.
I negoziati di Doha e il rischio di deportazione
Mentre la guerra continua, i negoziati di pace a Doha restano impantanati in un clima di accuse reciproche tra Israele e Hamas. Uno dei punti critici riguarda la ritirata parziale delle truppe israeliane, che secondo Hamas sarebbe solo un pretesto per «ammassare centinaia di migliaia di sfollati» nel sud della Striscia e successivamente deportarli in Egitto o in altri Paesi.
Una prospettiva che, se realizzata, costituirebbe — secondo il diritto internazionale — un crimine di guerra. Eppure, a oggi, non sembrano esserci soluzioni praticabili in vista, mentre i falchi dell’ultradestra israeliana, tra cui i ministri Ben Gvir e Bezalel Smotrich, continuano a pressionare il premier Netanyahu per assicurare la prosecuzione del conflitto al termine del cessate il fuoco proposto di 60 giorni.
Appelli e disperazione
«Fermate la guerra. Basta, stanno uccidendo civili, non ci è rimasto nulla», ha detto Mahmoud al-Shami, residente di Nuseirat, ai giornalisti palestinesi accorsi sul luogo della strage. La sua voce è diventata simbolo di una popolazione che non ha più acqua, né riparo, né speranza.
Nel frattempo, l’inviato statunitense Steve Witkoff ha annunciato un incontro in New Jersey con i delegati del Qatar, dichiarando: «Ho fiducia nell’accordo». Parole che suonano vuote per chi, a Gaza, continua a vivere tra le bombe e la fame, con 50 ostaggi ancora in mano a Hamas, la cui sorte è sempre più incerta.
Oggi, la strage dell’acqua aggiunge un ulteriore capitolo a una guerra che sembra senza fine, in cui i bambini diventano bersagli, e ogni errore costa vite umane. In attesa che la diplomazia trovi un varco, la popolazione civile di Gaza continua a pagare il prezzo più alto.