
Un urlo silente squarcia l’aula di tribunale, un grido che Roberto Saviano, avvolto in un pianto liberatorio e amaro al contempo, traduce in poche, lapidarie parole: “Mi hanno rubato la vita”.
La sentenza della Corte d’Appello di Roma, che conferma le condanne per le minacce ricevute nel lontano 2008 durante il processo ‘Spartacus‘, non è solo una vittoria legale; è la cristallizzazione di un destino, il suggello di un’esistenza inesorabilmente mutata, forse irrimediabilmente compromessa. Non è solo giustizia, è la riaffermazione di un prezzo, altissimo, pagato per la verità.

La cicatrice di un processo
Il 2008. Napoli. Processo ‘Spartacus’. Un’aula trasformata in un teatro di minacce, dove il metodo mafioso si manifesta con la sfrontatezza di chi si sente intoccabile. Francesco Bidognetti, boss del clan dei Casalesi, e l’avvocato Michele Santonastaso, due nomi incisi a fuoco nella memoria di Saviano, condannati allora e ora, per aver tentato di intimidire, di zittire, di piegare. Un anno e sei mesi per il primo, un anno e due mesi per il secondo. Cifre che, pur nella loro arida specificità giuridica, non riescono a contenere l’immensità del danno, l’eco delle notti insonni, il peso di una libertà sacrificata sull’altare della denuncia. La Corte d’Appello, ribadendo la decisione del Tribunale, non ha fatto altro che tracciare una linea, netta, tra chi minaccia e chi è minacciato, tra l’ombra della criminalità organizzata e la luce, flebile ma indomita, del coraggio civile.
Un abbraccio che vale mille parole
L’immagine di Saviano che si stringe al suo legale, Antonio Nobile, in un abbraccio denso di lacrime e gratitudine, è un fotogramma potente, che va oltre la cronaca giudiziaria. È il gesto di un uomo che ha trovato nel suo difensore non solo un professionista, ma un alleato, un compagno di viaggio in un percorso tortuoso e pericoloso. E l’applauso, partito spontaneo dall’aula, è la risposta della società civile, di chi riconosce il sacrificio, di chi comprende il peso di quella vita “rubata”. Non è solo un gesto di solidarietà, è un riconoscimento collettivo, un’affermazione che, nonostante tutto, la battaglia per la legalità continua, sostenuta da chi non si arrende all’ombra della paura.

Il prezzo della verità
Ma cosa significa, davvero, “mi hanno rubato la vita”? Significa vivere sotto scorta, ogni giorno, ogni ora, ogni istante. Significa rinunciare alla spontaneità, alla leggerezza, alla possibilità di un’esistenza “normale”. Significa guardare il mondo attraverso il filtro della minaccia, della sorveglianza, del pericolo incombente. Significa essere un simbolo, un faro, ma anche un bersaglio costante. La vita di Saviano, dopo “Gomorra”, non è più stata sua, è diventata un patrimonio collettivo, un monito, ma anche un fardello inestimabile.
Questo prezzo, pagato in nome della verità e della giustizia, è un monito per tutti noi: la libertà di espressione, la denuncia della criminalità, il coraggio di schierarsi, hanno costi inestimabili che la società troppo spesso dimentica di riconoscere e onorare. La condanna odierna, pur importante, non restituisce a Saviano quella vita che gli è stata strappata, ma riafferma la validità della sua lotta e la necessità di continuare a combattere, affinché nessun’altra vita venga più rubata in nome della paura.