
All’inizio sembrava solo un fastidio passeggero: una macchia gialla comparsa sulla pelle, poi scomparsa nel giro di qualche giorno. I medici, interpellati da quella che sembrava una giovane in perfetta salute, avevano minimizzato l’episodio, liquidandolo come qualcosa da «tenere sotto controllo». Nessuno immaginava che quel segno fosse in realtà il primo campanello d’allarme di una malattia potenzialmente letale. Solo mesi dopo, quando la pelle della ragazza aveva assunto una colorazione giallastra su tutto il corpo, è arrivata la diagnosi shock: aveva bisogno urgente di un trapianto di fegato.
Era una forma rara e aggressiva di epatite autoimmune, una malattia in cui il sistema immunitario attacca il fegato come se fosse un’infezione da combattere. A soli 15 anni, la ragazza si è trovata di fronte a una scelta estrema. «Hai una settimana di vita oppure ti mettiamo in lista per un trapianto urgente», le hanno detto i medici. Lei non ha avuto dubbi: «Questa domanda ha già una risposta», ha raccontato. E si è preparata all’intervento che le avrebbe salvato la vita.

La protagonista di questa vicenda è Emma Mendelssohn, giovane americana che nel 2018 ha visto la sua quotidianità sconvolta da una malattia che all’inizio era passata inosservata. Dopo la comparsa della macchia, solo insistendo era riuscita a ottenere le analisi del sangue approfondite che hanno poi rivelato il vero problema. La corsa contro il tempo è iniziata con una somministrazione di steroidi e l’attesa, brevissima, della decisione sul trapianto.
L’intervento è avvenuto in tempi record e, per qualche mese, Emma ha pensato di essersi lasciata tutto alle spalle. Tuttavia, la guarigione non è andata come sperato. A causa di complicazioni ai dotti biliari, ha dovuto affrontare dolori cronici e un lungo periodo di recupero, durante il quale ha lottato per tornare a una vita normale.

Il rigetto e il secondo intervento
I primi due anni post-trapianto sono stati relativamente sereni. Ma al terzo, Emma ha iniziato ad accusare nuovi sintomi. Gli esami hanno confermato un rigetto dell’organo trapiantato. «La seconda volta ero più serena», ha spiegato. «Quando sono stata ricoverata per la prima volta, avevo già in parte accettato l’idea di morire. Ma quando è successo ancora, mi sentivo in pace con quello che avevo vissuto fino ad allora».
È seguita una nuova operazione, un secondo trapianto di fegato, e questa volta tutto è andato per il meglio. Emma, oggi 22enne, è viva e può raccontare la sua storia. Ma la sua vita è cambiata per sempre.
A causa delle condizioni legate al suo stato post-trapianto, Emma ora vive con restrizioni severe: niente sport estremi, niente paracadutismo, niente immersioni subacquee. Tutte attività che prima amava. Ma questo non ha incrinato il suo spirito positivo. «La gente prende tutto troppo sul serio», ha detto. «La maggior parte delle cose, alla fine, non sono poi così gravi».
Oggi Emma si dedica a sensibilizzare le persone sulle malattie autoimmuni e la donazione di organi. Racconta la sua storia pubblicamente, nella speranza che altri possano imparare a riconoscere segnali apparentemente banali, che possono invece nascondere patologie gravi.
Con un tono diretto ma pieno di consapevolezza, invita chi l’ascolta a non ignorare mai il proprio corpo: «Se qualcosa non va, chiedete aiuto. Insistete. Nessuno conosce il vostro corpo meglio di voi stessi».
La sua esperienza è diventata un messaggio potente: la diagnosi precoce può salvare la vita, ma serve anche il coraggio di farsi sentire, specialmente quando si è giovani e si rischia di non essere presi sul serio.