
C’è un fantasma che continua a muoversi inquieto tra i corridoi del potere americano, e stavolta si agita fino alla soglia della Casa Bianca. Il nome è quello di Ghislaine Maxwell, la donna che fu complice e regista del miliardario pedofilo Jeffrey Epstein. Il suo desiderio, secondo una fonte riportata dal Daily Mail, è devastante per l’establishment: vuole testimoniare davanti al Congresso. Dire la sua verità. Raccontare ciò che ha visto. Nominare, forse, chi c’era.
E a tremare ora è anche Donald Trump, tornato alla presidenza degli Stati Uniti in un clima più che mai infuocato. Il mondo Maga, il suo zoccolo duro, ha sempre cavalcato la teoria del complotto su Epstein. Ma ora la mina è interna: se Ghislaine parla, potrebbe mettere in una posizione molto scomoda lo stesso Presidente e far saltare certezze e alleanze.
La donna che può fare nomi
Maxwell è in carcere per aver aiutato Epstein a reclutare e manipolare minorenni, molte delle quali poi sfruttate sessualmente. Se qualcuno conserva una lista dei “clienti”, è lei. E se la lista non esiste, Maxwell sa perfettamente chi frequentava le isole caraibiche di Epstein, la sua villa di Manhattan, le feste riservate solo a “certi amici”. La sua testimonianza potrebbe illuminare un’area grigia della politica e del potere globale che in molti vogliono tenere nell’ombra.
Il problema è che il Partito repubblicano si oppone con forza a una sua audizione pubblica, alimentando un sospetto ormai trasversale: cosa temono davvero i repubblicani? Perché se per anni Trump e i suoi hanno chiesto “la verità su Epstein”, oggi sembrano improvvisamente nervosi, se non ostili, di fronte alla disponibilità di una delle pochissime persone in grado di raccontarla.
Un minuto mancante e un silenzio che pesa
A complicare le cose, c’è la retromarcia istituzionale. Il Dipartimento di Giustizia, la settimana scorsa, ha confermato che Jeffrey Epstein si è suicidato nel carcere federale dove era rinchiuso dal 2019. Ha pubblicato anche un video dei suoi ultimi momenti. Ma manca un minuto cruciale: proprio quello che potrebbe chiarire se sia stato davvero suicidio, o qualcos’altro.

Nel frattempo, Pam Bondi, ex procuratrice generale della Florida e ora figura di riferimento nella galassia trumpiana, aveva promesso di desecretare i file sul caso. Salvo poi frenare di colpo. Un cambio di passo che ha provocato uno scontro durissimo con il vice direttore dell’FBI Bongino, pronto a dimettersi. Anche il direttore Patel sarebbe sul filo.
Trump ha tentato di spegnere l’incendio con un messaggio sul suo social network, difendendo Bondi e chiedendo ai suoi di “voltare pagina”. Ma le parole suonano più come un invito al silenzio che una chiamata alla verità. Anzi, ha accusato Obama e Hillary Clinton di aver orchestrato un complotto, fabbricando falsi dossier per danneggiarlo. Quasi un’ammissione a mezza voce: il suo nome, forse, in quei documenti c’è davvero.
Maxwell, l’ultima variabile
A questo punto la variabile impazzita è Ghislaine Maxwell. Se il Congresso decidesse, nonostante i veti, di ascoltarla, si aprirebbe uno dei fronti politici più pericolosi per l’amministrazione Trump, che già deve fronteggiare fratture interne e opposizione radicalizzata. Ma se la voce di Maxwell verrà spenta ancora, il sospetto continuerà a crescere. E stavolta non sarà più sufficiente un tweet per cercare di rimediare.