
L’annuncio di Donald Trump sui possibili dazi al 30% per l’Europa ha scatenato un terremoto politico in Italia, che si traduce in una raffica di critiche, ironie e attacchi rivolti alla premier Giorgia Meloni. Il fronte dell’opposizione, unito almeno su questo, ha scelto il sarcasmo come arma politica, lanciando accuse sulla presunta assenza del governo e sull’atteggiamento remissivo verso gli Stati Uniti. Sullo sfondo, l’incertezza sulle conseguenze per il sistema produttivo italiano e un clima che si fa sempre più teso tra le forze parlamentari.
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La tensione si taglia a fette, mentre la diplomazia cerca spiragli per evitare lo scontro frontale con Washington. Ma il vuoto comunicativo della presidenza del Consiglio viene percepito come una mancanza di leadership, specie dopo mesi di dichiarazioni trionfali sull’asse tra Roma e gli Stati Uniti. E ora, mentre l’Europa rischia di finire sotto tiro, la richiesta dell’opposizione è netta: la premier venga in Parlamento a riferire.
Schlein e Conte attaccano la premier
A guidare le accuse contro Giorgia Meloni è Elly Schlein, che invita la presidente del Consiglio a scendere dalla “modalità aereo” e ad assumersi le proprie responsabilità. La segretaria del PD la accusa di continuare a “viaggiare per il mondo a stringere mani fingendo che in Italia vada tutto bene”, senza dire nulla “nemmeno di fronte alla prepotenza del suo amico Trump”.
Più tagliente Giuseppe Conte, che ironizza: “Chiamate Chi l’ha visto, Meloni è sparita”, evocando il programma televisivo sulle persone scomparse. L’ex premier critica il silenzio della presidente del Consiglio: “Dopo aver sbandierato un suo ruolo centrale nelle trattative con Trump per zero dazi, ora che arrivano le letterine con i dazi al 30%, Meloni è scomparsa: niente video, niente post per spiegare ai cittadini, ai lavoratori e alle imprese”.

Le accuse di sottomissione e ironia politica
Molti esponenti delle opposizioni parlano apertamente di subalternità a Trump. “Meritiamo governanti con la schiena dritta”, affonda ancora Conte. Dello stesso tenore l’attacco di Angelo Bonelli, che punta il dito contro “una destra che difende Trump e non l’Italia. Altro che patrioti: sono traditori della patria”.
Aggiunge sarcasmo Riccardo Magi, di +Europa, che paragona il legame tra Trump e Meloni a un rapporto genitoriale: “Se i dazi fossero un bambino, Trump sarebbe il genitore 1, Meloni il genitore 2”. Accusa la premier di aver sostenuto in passato politiche che oggi si ritorcono contro l’Europa, e in particolare contro l’Italia.
Anche Enrico Borghi, di Italia Viva, insiste sul concetto di “trumpismo dannoso”, rimproverando a Meloni una linea troppo morbida con l’ex presidente americano e, al contempo, un atteggiamento troppo rigido verso il presidente francese Emmanuel Macron.
Calenda: “Serve una risposta unitaria”
Unico tra le opposizioni a non partecipare al festival delle battute è Carlo Calenda, che non risparmia critiche, ma mantiene un tono istituzionale. Per il leader di Azione “la risposta ai dazi deve essere unitaria” e coinvolgere anche “Giappone, Canada, Corea del Sud e Vietnam”. Calenda propone una strategia comune per rispondere alle minacce americane, che includa contro-dazi e persino il blocco dell’acquisto di titoli di Stato statunitensi.
La posizione di Calenda mette in evidenza il rischio di un’escalation commerciale senza una reazione ferma e coordinata da parte dell’Europa. “Il 30% non è che l’inizio”, avverte.

La maggioranza si divide, Tajani cerca il dialogo
Nel governo, intanto, prevale la linea della prudenza. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che sarà a Washington nei prossimi giorni, invita a non alimentare lo scontro: “Il negoziato non è ancora finito, non vogliamo il conflitto con gli Stati Uniti”. Ma tra gli alleati non manca qualche frizione.
Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, respinge le accuse delle opposizioni: “Anche davanti alla crisi dei dazi, dimostrano tutta la loro pochezza. Gli italiani sono rassicurati da un Paese guidato da Meloni”. Un messaggio che vuole ridare centralità al ruolo della premier, pur nel silenzio istituzionale delle ultime ore.
Lega contro la Commissione Ue, Forza Italia frena
Ma il fronte di governo mostra crepe. La Lega, con Claudio Durigon, se la prende con l’Unione europea, accusandola di essere guidata da una Commissione “a completa trazione tedesca”. Secondo il sottosegretario al Lavoro, la presidente Ursula von der Leyen sta adottando una linea troppo rigida e dovrebbe invece “lasciare più spazio ai singoli Stati nella mediazione”.
Una posizione che Forza Italia non gradisce affatto. Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri risponde secco: “Chi scarica le colpe di Trump su altri cerca solo di difendere una posizione sbagliata. L’Europa ha affrontato il negoziato e continuerà a difendere le nostre imprese”. Aggiunge Alessandro Cattaneo, anche lui di Forza Italia: “È il momento dell’unità del governo e dell’Europa, non delle polemiche”.
Ma dalla Lega arriva un’ulteriore spinta alla linea nazionalista, con Claudio Borghi che torna a proporre “trattative bilaterali” con gli Stati Uniti. Una direzione che rischia di isolare ulteriormente l’Italia nel contesto europeo.
La premier resta in silenzio
Nel frattempo, da via della Scrofa, la sede di Fratelli d’Italia, arriva un invito alla “responsabilità” e a non alimentare “polveroni”. Ma il silenzio della premier su un dossier così centrale viene letto dalle opposizioni come una fuga dalle proprie responsabilità, tanto più dopo le tante dichiarazioni che l’avevano vista come protagonista della scena internazionale.
Ora l’attenzione si sposta su cosa accadrà nei prossimi giorni: Meloni riferirà in Parlamento? Si presenterà con una linea chiara oppure continuerà con una gestione riservata? E soprattutto, quale sarà la risposta italiana all’eventuale imposizione dei dazi da parte degli Stati Uniti?
Le prossime ore saranno decisive, in un clima politico sempre più infuocato. E in cui, tra battute e sarcasmo, resta una domanda senza risposta: dov’è Giorgia Meloni?