
Ci sono vite che iniziano due volte. Alcune lo fanno in silenzio, nel dolore, nella solitudine. Altre lo fanno con il rumore delle scarpe che battono sull’asfalto, una falcata dopo l’altra, con la determinazione di chi ha deciso che non è finita. Per qualcuno la vecchiaia è un punto di arrivo, per altri, come lui, è stato l’inizio di un’altra sfida. Di una nuova corsa.
C’è qualcosa di profondamente umano nel gesto della corsa. Non si corre solo per arrivare, ma per lasciarsi qualcosa alle spalle: un lutto, una ferita, un’assenza. Correre è resistere, e per alcuni, correre è vivere. È così che un uomo ha deciso di riscrivere la sua storia a quasi novant’anni, mettendosi in gioco quando tutti pensavano che fosse giunto il tempo della quiete. E invece no. La sua corsa ha fatto il giro del mondo. Fino all’ultima curva.
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Non era un campione olimpico, almeno non nel senso tradizionale. Ma il suo volto, il suo turbante, le sue gambe instancabili, hanno rappresentato qualcosa di raro: la possibilità che la forza interiore superi ogni limite anagrafico. Fauja Singh non ha mai corso per il podio, ha corso per vivere. E oggi, a 114 anni, si è fermato per sempre, travolto da un’auto pirata nel suo villaggio natale nel Punjab, in India.

Una vita che inizia a correre a 89 anni
La storia di Fauja Singh, cittadino britannico di origine indiana, ha dell’incredibile. Comincia a correre a 89 anni, un’età in cui la maggior parte delle persone rinuncia perfino a camminate impegnative. Invece lui, con una magrezza asciutta da contadino e un sorriso mite, ha deciso di affrontare il dolore con le scarpe da corsa. Lo ha fatto dopo la morte della moglie Gian Kaur, e poi, devastato da un secondo lutto — quello del figlio minore Kuldeep, morto in un incidente durante un viaggio in India — si è rialzato correndo. Letteralmente.
Dopo essersi trasferito a Londra per vivere con il figlio maggiore Sukhjinder, è entrato in contatto con un gruppo di anziani che si allenavano insieme per mantenersi in forma. Tra loro, un uomo chiave: Harmander Singh, che sarebbe diventato il suo allenatore e compagno di corsa per oltre un decennio.

L’orgoglio Sikh e la sfida del turbante
Singh era un Sikh devoto, e il suo turbante faceva parte della sua identità quanto le sue scarpe da corsa. Alla sua prima maratona di Londra, gli organizzatori gli dissero che non avrebbe potuto gareggiare con il turbante, ma solo con un patka, copricapo più piccolo. La sua risposta fu netta: “Mi sono rifiutato di correre senza turbante”, raccontava. Dopo lunghe trattative, riuscì a ottenere il permesso e portò il suo turbante sul traguardo con orgoglio e determinazione. Tagliò quel traguardo in sei ore e 54 minuti, ma la sua vera vittoria era culturale, identitaria.
Non si fermò lì. Due anni dopo, alla Toronto Waterfront Marathon del 2003, migliorò il suo tempo di oltre un’ora, completando la gara in cinque ore e 40 minuti. Ma il suo apice arrivò nel 2011, quando, alla veneranda età di 100 anni, completò la maratona di Toronto diventando il primo centenario al mondo a compiere una maratona completa.
L’ultima gara e il ritiro nel 2013
Il suo ritiro ufficiale dalle competizioni avvenne nel 2013, all’età di 101 anni, dopo l’ultima maratona corsa a Hong Kong. In quell’occasione, commosso, dichiarò: “Ricorderò questo giorno per sempre e mi mancherà, ma non smetterò di correre: lo farò su distanze più brevi e solo per beneficenza”.
Da quel momento in poi, Fauja Singh ha continuato ad allenarsi quotidianamente, diventando un simbolo mondiale di resilienza e longevità. Il suo volto è apparso in pubblicità e documentari, è stato tedoforo alle Olimpiadi di Londra 2012, ed è diventato un punto di riferimento per la comunità indiana e per gli sportivi di tutto il mondo.

Un’esistenza semplice, una filosofia profonda
Fauja Singh è rimasto contadino nell’anima fino all’ultimo giorno. Non ha mai rinunciato a una vita semplice, regolata da disciplina, dieta sobria e gioia di vivere. Il suo messaggio era chiaro: “Mangiare poco, correre di più e rimanere felice: questo è il segreto della mia longevità”.
Nonostante la fama internazionale, è sempre rimasto umile. Non cercava riflettori, cercava significato, e lo trovava in ogni passo, in ogni corsa fatta per superare sé stesso, in ogni battaglia interiore vinta con il sudore.
L’ultima corsa interrotta da un’auto pirata
La vita di Fauja Singh si è conclusa tragicamente oggi, all’età di 114 anni, investito da un’auto pirata nel suo villaggio natale nel Punjab. Un epilogo crudele per un uomo che aveva fatto della corsa una forma di guarigione, che aveva sfidato il dolore con la forza delle gambe e del cuore.
A dare l’annuncio della sua morte è stato anche il primo ministro indiano Narendra Modi, che lo ha ricordato come “un atleta eccezionale con una determinazione incredibile”.
Oggi, il mondo perde non solo un simbolo sportivo, ma un esempio raro di tenacia e coraggio. L’eredità di Fauja Singh resta scolpita nei marciapiedi di Londra, nelle strade di Toronto, nei viali di Hong Kong — e nel cuore di chi ha visto, in lui, la prova che non è mai troppo tardi per ricominciare a vivere correndo.