
Quando ogni dettaglio può fare la differenza in un caso che ha tenuto col fiato sospeso l’Italia, anche le azioni più semplici diventano fondamentali. L’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco non è solo cronaca nera: è una storia che si intreccia con la vita quotidiana, spingendo tutti a chiedersi quanto sia importante il rispetto delle regole anche nei momenti più critici. Nel cuore della scena del delitto, i primi soccorritori hanno giocato un ruolo chiave, e la loro attenzione ai dettagli è oggi al centro dell’attenzione.
Tra verbali e testimonianze, emerge un quadro chiaro: ogni passo dentro la villetta di via Pascoli è stato studiato, ogni gesto misurato. Dai sanitari ai titolari delle onoranze funebri, nessuno ha lasciato nulla al caso. Una routine di precisione che oggi diventa lezione di vita e professionalità.
Dentro la scena: tra protocollo e attenzione
Appena suonato l’allarme, i sanitari del 118 di Vigevano sono stati tra i primi ad arrivare. Era il 13 agosto 2007, poco dopo le 13.30. Sotto lo sguardo attento di due carabinieri, un’ambulanza della pubblica assistenza e Alberto Stasi – colui che aveva dato l’allarme – la dottoressa Elisabetta Rubbi guidava la squadra, composta anche dall’infermiera Sonia Bassi e dall’autista Enrico Colombo. Tutti, come confermato nei verbali, hanno indossato calzari protettivi e guanti di lattice per non contaminare la scena. “Io ed il resto del personale con me intervenuto indossavamo i calzari di protezione alle scarpe e i guanti di lattice”.
Una prassi che ha evitato errori e contaminazioni: nessuno ha toccato nulla senza precauzioni, nessuno ha spostato il corpo senza il dovuto rispetto delle procedure. La cronaca si trasforma così in racconto di grande attenzione e senso del dovere.
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Soccorritori e onoranze funebri: rigore oltre ogni dubbio
Il protocollo è stato seguito anche nei momenti più delicati. In un secondo verbale, la dottoressa Rubbi ha raccontato che solo lei si è avvicinata al corpo di Chiara Poggi: “Al corpo della ragazza mi sono avvicinata solo io per controllare la presenza di un polso carotideo e valutare le lesioni superficiali che si rendevano evidenti all’ispezione e dalla palpazione”. Gli altri membri dello staff non hanno oltrepassato la soglia della scala, evitando qualsiasi contatto con possibili tracce biologiche.
Lo stesso rigore viene confermato dai fratelli Roberto e Massimo Pertusi delle onoranze funebri Nuova Pertusi S.r.l., intervenuti la sera per il recupero della salma. Con loro, Aldo Bianchi, collaboratore occasionale. Tutti equipaggiati con tute protettive di carta e guanti in lattice, hanno adottato soluzioni pratiche per limitare la contaminazione: “Prima di entrare – ha raccontato Roberto Pertusi – indossavamo i pantaloni della tuta in modo che il piede rimanesse parzialmente avvolto all’interno della parte finale del gambale”.
La cura nei dettagli: nessun gesto fuori posto

Tutti sono concordi: nessuna imprudenza, nessun movimento che potesse alterare la scena del crimine. Sanitari e personale funebre hanno lavorato con la massima attenzione, senza toccare oggetti estranei o varcare zone sensibili della casa senza motivo. Anche il trasporto della salma è avvenuto secondo le regole: barella in vetroresina e sacco impermeabile, tutto maneggiato con estrema cautela.
Questa attenzione ai dettagli non è solo un dovere professionale, ma anche umano, in una giornata che ha segnato la vita di molti. Le testimonianze restano, anno dopo anno, a confermare la serietà di chi è intervenuto.

Il ritorno dei verbali: riflettori sul Dna ignoto

Oggi i verbali dei soccorritori tornano sotto i riflettori. Il motivo? Il famoso “Dna ignoto 3” scoperto nel cavo orofaringeo della vittima: un dettaglio che potrebbe cambiare la storia del caso. Le indagini cercano risposte tra contaminazione accidentale e traccia lasciata dall’assassino. Ma i documenti raccontano un’altra verità: quella di un’operazione condotta con professionalità, ordine e rigore. Se qualcosa è sfuggito, di certo non è accaduto nei primi istanti dopo il ritrovamento.
La lezione di Garlasco resta impressa: anche nei momenti più drammatici, il rispetto delle regole può fare la vera differenza, sia per la giustizia che per la memoria di chi non c’è più.