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“Silenzio osceno”. Mattarella e Meloni travolti dalle polemiche, cosa succede

Pubblicato: 16/07/2025 09:40
Francesca Albanese Mattarella Meloni

Un silenzio che fa rumore. In questi giorni, il caso Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi, sta scuotendo il dibattito pubblico italiano non solo per la gravità delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei suoi confronti, ma soprattutto per la totale assenza di una presa di posizione ufficiale da parte delle più alte cariche dello Stato italiano. In particolare, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni sono al centro di dure critiche per il loro silenzio, giudicato da più parti non solo inopportuno, ma anche politicamente significativo.
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Francesca Albanese nel mirino, ma l’Italia tace

Le accuse rivolte a Francesca Albanese riguardano le sue prese di posizione, ritenute scomode, sul conflitto israelo-palestinese. In qualità di funzionaria dell’ONU, la giurista ha più volte denunciato pubblicamente le gravi violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza, parlando apertamente di genocidio e mettendo in evidenza, con un linguaggio diretto e documentato, le dinamiche economiche che si alimentano nell’ombra del conflitto. Proprio queste denunce, che secondo molti non sono semplici opinioni ma analisi basate su fatti, hanno portato all’introduzione di misure sanzionatorie senza precedenti da parte del governo statunitense nei suoi confronti.

In Italia, però, le reazioni istituzionali si sono fatte attendere. E a distanza di una settimana dalle sanzioni, né il Quirinale né Palazzo Chigi hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito. Nessuna nota di solidarietà, nessuna difesa pubblica nei confronti di una cittadina italiana sotto attacco per il suo impegno nella tutela dei diritti umani.

Critiche forti sui social: “Un silenzio consapevole”

Il malcontento è esploso soprattutto sui social network, dove molti utenti hanno accusato le istituzioni italiane di complicità attraverso l’assenza di parole. «Adesso possiamo affermarlo con certezza: il silenzio di Sergio Mattarella e Giorgia Meloni sulla vicenda di Francesca Albanese è una scelta», scrive un utente su X (ex Twitter). «È un silenzio pienamente consapevole, una presa di posizione». Il riferimento è anche ad alcuni precedenti recenti, come il messaggio di solidarietà del Capo dello Stato all’ex direttore di “Repubblica” Maurizio Molinari, contestato da pochi studenti universitari, oppure alla telefonata tra Mattarella e Meloni dopo una polemica social legata a un insulto online rivolto alla premier. «Ma per Francesca Albanese – si legge – nulla. Nessuna dichiarazione, nessun gesto. Solo silenzio. Un silenzio complice».

Toni ancora più duri arrivano da chi parla di un «silenzio osceno», accusando il Presidente Mattarella di non aver speso nemmeno una parola in difesa della funzionaria ONU italiana, nonostante le gravi ripercussioni personali e professionali che potrebbe subire. Secondo alcune voci, la mancata presa di posizione istituzionale mina la credibilità dell’Italia sul piano dei diritti umani e indebolisce la sua autorevolezza internazionale.

Il nodo politico e costituzionale

La questione, al di là del dibattito social, solleva interrogativi di ordine costituzionale e politico. Secondo i critici, la difesa di Francesca Albanese non è una questione di schieramento, ma un dovere legato alla tutela dei diritti civili e della libertà d’espressione, principi sanciti dalla Costituzione italiana. Chi chiede un intervento del Quirinale sottolinea come l’attività di Albanese sia fondata su mandati istituzionali internazionali, non su militanze personali, e che il sostegno nei suoi confronti significherebbe difendere l’autonomia e la legittimità degli organismi multilaterali, oltre che l’integrità morale di una cittadina italiana impegnata in un ruolo delicato.

Il silenzio del governo e del Presidente, in questo contesto, assume un significato più ampio: non prendere posizione equivale a legittimare le sanzioni, dicono i detrattori, e rappresenta un segnale preoccupante per il futuro della libertà di denuncia in ambito internazionale.

La domanda inevasa: perché questo silenzio?

Resta, dunque, la domanda di fondo: perché le istituzioni italiane tacciono? È una strategia diplomatica? Una forma di prudenza politica? O, come molti sospettano, una scelta deliberata per non compromettere i rapporti con Washington o con l’attuale governo israeliano?

Qualunque sia la risposta, l’assenza di parole si trasforma in un atto politico. E in una fase storica in cui le violazioni dei diritti umani sono al centro del dibattito internazionale, la voce delle istituzioni – quando manca – pesa più delle parole.

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