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Il clamoroso dietrofront di Trump: l’annuncio degli Usa scatena le polemiche

Pubblicato: 16/07/2025 10:25

All’indomani del doppio annuncio del presidente Donald Trump — l’invio di armi all’Ucraina attraverso gli europei e un ultimatum di 50 giorni a Vladimir Putin — si moltiplicano dubbi e perplessità. L’Europa accoglie con favore la svolta sulle forniture militari, ma resta scettica sull’efficacia reale della minaccia. L’idea di sanzioni o dazi «tra quasi due mesi» appare a molti osservatori poco più di un bluff.

Anche all’interno della NATO, il tono è stato prudente. Il nuovo segretario generale, Mark Rutte, ha definito «ovvio» che gli europei paghino per le armi americane, mentre l’Alto rappresentante UE per la Politica estera Kaja Kallas ha commentato: «Accogliamo l’annuncio, ma vorremmo che gli Stati Uniti condividessero il peso». Il messaggio, insomma, è chiaro: bene le forniture, ma l’Europa non vuole trasformarsi nel solo fornitore di Kiev.

Resta però il nodo su quali armi verranno realmente inviate. Le voci sul possibile trasferimento di missili a lungo raggio circolano da giorni, ma lunedì, durante l’incontro con Rutte, Trump è rimasto vago, limitandosi a confermare i sistemi difensivi Patriot. Nessuna conferma su missili Atacms o JASSM, che pure Kiev richiede da tempo.

Eppure proprio Trump aveva acceso le speranze del presidente Volodymyr Zelensky chiedendogli — il 4 luglio scorso — se fosse in grado di colpire Mosca e San Pietroburgo. Ora la Casa Bianca ridimensiona: era «una semplice domanda», senza implicazioni operative. E ieri Trump ha detto esplicitamente che, al momento, non è previsto l’invio di missili a lungo raggio, pur non escludendolo in futuro.

L’inviato alla NATO Matt Whitaker ha ribadito che la priorità sono i Patriot, ritenuti essenziali per proteggere le città ucraine dai missili russi. Oggi Kiev ne ha otto, ma due sono fuori uso e molte aree restano esposte. Le scorte europee dovrebbero colmare questo gap, mentre i nuovi sistemi prodotti in America arriveranno più avanti.

Ma secondo gli analisti, da Washington al Pentagono, i Patriot non bastano. Serve anche capacità offensiva per riconquistare l’iniziativa sul terreno. Un editoriale del Washington Post ha criticato l’eccessiva prudenza dell’ex amministrazione Biden, colpevole di aver agito «troppo tardi e con timore» verso reazioni russe. Un errore che, secondo molti, Trump rischia di ripetere.

Sulla questione sanzioni, l’incertezza aumenta. Dopo aver minacciato misure draconiane contro i Paesi che comprano gas e petrolio russi, Trump ha chiesto ai senatori repubblicani di congelare una legge già votata da 85 senatori su 100, che avrebbe previsto sanzioni secondarie al 500%. Il senatore John Thune spiega: «Il presidente vuole gestire la questione da solo».

Resta però da capire se davvero Trump sia disposto ad affrontare le conseguenze di un simile isolamento energetico. Le sanzioni secondarie colpirebbero India e Cina, due attori chiave: la prima è un partner strategico, la seconda il grande rivale. Un simile strappo porterebbe inevitabilmente a un aumento dei prezzi del petrolio e a tensioni su più fronti.

Secondo il politologo Ian Bremmer, Trump sta prendendo coscienza dei limiti economici e politici della sua posizione. Le restrizioni cinesi sui minerali critici e le trattative sui dazi lo spingono ad agire con cautela. Ha già chiesto ai suoi consiglieri di moderare il tono e ha ammorbidito le regole sull’export di semiconduttori in Cina. Difficile, in questo quadro, che Pechino e Nuova Delhi riducano la dipendenza energetica da Mosca. E altrettanto improbabile che la Cina voglia davvero porre fine a un conflitto che finora le ha spostato altrove l’attenzione strategica degli Stati Uniti.

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