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Stefano Cucchi, due carabinieri condannati e uno assolto: depistaggio e falso durante il processo

Pubblicato: 16/07/2025 13:41
Stefano Cucchi carabinieri condannati

Il tribunale di Roma ha condannato due carabinieri nell’ambito del procedimento Cucchi-ter, legato ai depistaggi e alle falsità nelle testimonianze rese durante le indagini sulla morte di Stefano Cucchi, il 31enne arrestato il 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini. Al centro del processo, le dichiarazioni ritenute false o fuorvianti che, secondo l’accusa, avrebbero compromesso la corretta ricostruzione dei fatti.
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Il giudice monocratico ha stabilito una condanna a 3 anni e 6 mesi per il maresciallo Giuseppe Perri e una a 4 anni per Prospero Fortunato, all’epoca capitano e comandante della sezione infortunistica e polizia giudiziaria presso il nucleo Radio Mobile di Roma. Fortunato ha scelto il rito abbreviato, che prevede lo sconto di pena in caso di condanna.

È stato invece assolto con formula piena – “perché il fatto non sussiste”Maurizio Bertolino, maresciallo presso la stazione di Tor Sapienza all’epoca dei fatti.

Le accuse e le parole del pm Giovanni Musarò

Le imputazioni, formulate dal pubblico ministero Giovanni Musarò, erano a vario titolo di depistaggio e di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. Nella sua requisitoria, il pm ha parlato senza mezzi termini di un “comportamento ossessivo di depistaggio”, protrattosi dal 2009 al 2021. Quasi un’intera generazione spesa a inseguire menzogne, in quello che Musarò ha definito un sistema “inaudito” di insabbiamento e mistificazione.

“Abbiamo assistito – ha dichiarato il pm – a un’attività ossessiva di depistaggio andata avanti per 9 anni: dall’ottobre del 2009 e fino all’ottobre del 2018. Questa attività illecita è poi proseguita in maniera inaudita fino al 2021: spero che questa sia l’ultima puntata di una saga durata 15 anni”.

Le parole di Ilaria Cucchi dopo la sentenza

A commentare con amarezza – ma anche con determinazione – la sentenza è stata Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e da sempre in prima linea nella battaglia per ottenere verità e giustizia. Intervistata da Adnkronos, ha sottolineato come questo processo sia stato, a suo giudizio, “il più brutto di tutti”.

“Due processi per omicidio. Uno per depistaggi e falsi. Ma il più brutto di tutti era questo. Depistaggi sui depistaggi. Mentre venivano processati esponenti dell’Arma, altri loro colleghi venivano in aula a mentire”, ha dichiarato.

Una riflessione amara ma lucida, in cui Ilaria Cucchi si interroga anche sulle motivazioni dietro a un simile comportamento: “Forse espressione di un malinteso spirito di corpo? Forse altro? Non lo so. Quello che so è che la differenza la fanno le persone. E il pm Giovanni Musarò ne è la dimostrazione. A lui il nostro grazie”.

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Una vicenda ancora aperta nella memoria pubblica

Il caso Cucchi continua a rappresentare una delle ferite più profonde nel rapporto tra cittadini, giustizia e forze dell’ordine. Non solo per l’esito tragico della detenzione, ma per il lungo percorso giudiziario che ne è seguito, fatto di versioni discordanti, omissioni e resistenze interne.

La sentenza di oggi, pur non rappresentando l’epilogo definitivo, segna un altro passaggio nel faticoso cammino verso la verità. E nel farlo, riapre una riflessione su come le istituzioni debbano saper riconoscere i propri errori e lavorare perché simili vicende non si ripetano. Perché nessun processo potrà restituire Stefano alla sua famiglia, ma ogni verità conquistata è un passo verso una giustizia più credibile.

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