
Un nuovo colpo al cuore della comunità cristiana di Gaza: la chiesa della Sacra Famiglia è stata colpita durante un raid aereo, provocando 3 morti e sei feriti gravi. Tra i feriti anche il parroco padre Gabriel Romanelli, che ha riportato una lesione alla gamba. La notizia è stata confermata da fonti locali e rilanciata dall’ANSA, alimentando l’angoscia per la sorte dei pochi luoghi di culto ancora attivi nella Striscia, già martoriata da mesi di bombardamenti.
L’attacco alla chiesa avviene mentre sul piano diplomatico si registrano timidi spiragli. Hamas avrebbe accettato una nuova proposta di tregua con Israele, secondo quanto riportato da media arabi, che prevede, tra le altre misure, il ritiro delle forze israeliane dal corridoio di Morag, nella parte meridionale di Gaza. Una concessione significativa, anche se non ancora definitiva, che apre uno spiraglio in un conflitto che si è trasformato in un dramma umanitario su vasta scala.

“I raid israeliani su Gaza colpiscono anche la chiesa della Sacra Famiglia. Sono inaccettabili gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta dimostrando da mesi. Nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento”. Lo dichiara sui social la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Un attacco durissimo, quello della premier, che ha preso una posizione di ferma condanna nei confronti di Isarele.

Intanto, proprio nelle ultime ore, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha guidato con successo l’evacuazione medica di 35 pazienti da Gaza alla Giordania, la maggior parte dei quali bambini. Accompagnati da 72 familiari, i pazienti sono stati trasferiti per ricevere cure salvavita. Il direttore dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha rinnovato l’appello ai Paesi della regione e della comunità internazionale affinché si rendano disponibili ad accogliere altri malati gravi.
Ma al di là di Gaza, anche la Siria è sprofondata nuovamente nel caos. In particolare nella provincia meridionale di Sweida, dove oltre 350 persone sono state uccise in violenti scontri esplosi nel fine settimana. I dati, forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, parlano di 79 combattenti drusi, 55 civili, 189 militari governativi e 18 beduini rimasti uccisi. Il conflitto ha coinvolto anche milizie locali e causato l’arretramento dell’esercito siriano dalla zona.

Al bilancio già drammatico si sommano altri 15 morti tra militari e forze dell’ordine in seguito ad attacchi aerei israeliani su obiettivi nella regione di Latakia. Israele, secondo fonti regionali, avrebbe colpito un quartier generale militare appartenente a fazioni legate all’Iran. Un’escalation che contribuisce ad alimentare la tensione tra Damasco e Tel Aviv.
Di fronte al tracollo della sicurezza a Sweida, il presidente ad interim siriano Ahmad al-Sharaa, noto anche come Al-Jolani, ha annunciato un passaggio di consegne della gestione dell’ordine pubblico: saranno le fazioni druse locali e i loro leader spirituali a occuparsi della difesa della regione. In un videomessaggio trasmesso in piena notte dalla TV di Stato, al-Sharaa ha dichiarato: “I siriani non temono una nuova guerra, ma vogliono difendere l’unità del Paese da chi cerca di dividerlo”.
Al-Sharaa ha anche denunciato le azioni israeliane come un tentativo deliberato di creare fratture interne tra le minoranze religiose. “Proteggere i cittadini drusi è la nostra priorità”, ha ribadito, segnalando un possibile allargamento della crisi su più fronti in caso di ulteriore degenerazione.
Nel frattempo, secondo fonti egiziane, il negoziato tra Israele e Hamas – mediato da Il Cairo e dal Qatar – rimane ancora fragile e incompleto. Alcune fonti parlano di “intese parziali” legate al ritiro da alcune aree chiave della Striscia e all’apertura di corridoi umanitari, ma non ci sarebbe ancora un via libera totale all’accordo di cessate il fuoco.
Il Wall Street Journal ha intanto riferito che, secondo l’inviato speciale americano David Satterfield, nonostante l’apertura di Hamas, “non ci sarà un accordo completo a breve”, perché i nodi politici restano irrisolti. Tra questi: il rilascio degli ostaggi, il ruolo futuro dell’Autorità Palestinese e il disarmo delle fazioni armate.
In questo scenario, la colpita chiesa di Gaza e il sangue versato a Sweida diventano simboli diversi della fragilità religiosa e sociale del Medio Oriente contemporaneo. Le trattative diplomatiche, seppur necessarie, sembrano non tenere il passo della brutalità della guerra, che continua a ferire civili, distruggere simboli e ridisegnare equilibri con il fuoco.