
In un’aula di tribunale, le parole possono pesare come pietre. Talvolta arrivano troppo tardi, dopo che il danno è stato fatto, dopo che la vita è stata spezzata. Ed è proprio nel silenzio carico di tensione della Corte d’Assise di Bologna che si è alzata la voce di Giampiero Gualandi, ex comandante della Polizia Locale di Anzola Emilia, ora imputato per omicidio volontario aggravato.
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“Desidero chiedere perdono ai genitori di Sofia e a chi le voleva bene.” È iniziato così il suo intervento, pronunciato con apparente fermezza, ma con lo sguardo rivolto verso un pubblico che, più che parole, attende da mesi giustizia. Le sue frasi, dense di significato e di implicita ammissione, arrivano a distanza di due mesi da quel giorno in cui la vita di Sofia Stefani, 33 anni, è stata brutalmente interrotta.

Un colpo in ufficio, una morte che scuote
Era il 16 maggio 2024 quando Sofia Stefani, collega e compagna di una relazione extraconiugale con Gualandi, è stata colpita mortalmente da un proiettile partito dalla pistola d’ordinanza dell’ex comandante. Il tutto è avvenuto all’interno dell’ufficio del comando di Polizia Locale di Anzola, alle porte di Bologna. Un luogo di lavoro, divenuto tragicamente teatro di morte.
La versione della difesa parla di un colpo accidentale durante una colluttazione, una tesi che Gualandi continua a sostenere. Secondo il suo racconto, l’arma sarebbe esplosa nel mezzo di un momento concitato, senza un’intenzione omicida. Tuttavia, per la Procura di Bologna, le cose sono andate diversamente: l’uomo avrebbe sparato volontariamente, in un contesto che ora i giudici sono chiamati a ricostruire nel dettaglio.
Le parole dell’imputato in aula
L’interrogatorio dell’imputato, tenutosi nei giorni scorsi, ha rappresentato un passaggio centrale del processo. Per la prima volta, Giampiero Gualandi ha scelto di rompere il silenzio, spiegando perché non avesse parlato prima: “Fino a ora non l’ho fatto – ha detto – perché speravo che fin dalle prime udienze venisse fuori la natura non intenzionale del gesto. Non l’ho fatto per non arrecare ulteriore dolore e perché le mie parole fossero ritenute vuote”.
Poi ha aggiunto: “Lo faccio ora, anche se non so immaginare il dolore che ho provocato. Non posso aspettarmi il perdono, ma mi sento di chiederlo adesso”. Una dichiarazione che, sebbene significativa sotto il profilo umano, non sposta l’asse del processo: al centro restano le prove, la dinamica e le intenzioni.

Ritorno in carcere dopo la decisione della Cassazione
Il percorso giudiziario di Gualandi è stato segnato da passaggi delicati. Dopo un primo periodo di custodia cautelare, era stato disposto un alleggerimento della misura, ma il 3 luglio 2024 è arrivato il nuovo ordine di carcerazione, in seguito alla decisione della Corte di Cassazione che ha confermato quanto stabilito dal Tribunale del Riesame.
Una decisione che, di fatto, sottolinea come gli elementi raccolti finora siano sufficienti a sostenere l’ipotesi di un omicidio volontario, aggravato dal contesto lavorativo e dalla relazione personale tra vittima e imputato. Il ritorno in carcere segna una fase cruciale nel processo e contribuisce ad alzare ulteriormente la tensione attorno a un caso che ha colpito profondamente l’opinione pubblica.
Una comunità ferita e in cerca di verità
La morte di Sofia Stefani ha lasciato una ferita profonda, non solo nella sua famiglia, ma anche nella comunità di Anzola Emilia e tra i colleghi delle forze dell’ordine. Era una donna giovane, impegnata nel lavoro e nelle relazioni personali, e la sua vita è stata interrotta nel modo più violento possibile, proprio da chi, almeno all’apparenza, avrebbe dovuto proteggerla.
Ora, a processo in corso, resta da stabilire quale sia stata la reale dinamica dell’omicidio, ma soprattutto quale fosse l’intenzione dell’imputato. Le scuse pubbliche, arrivate dopo due mesi di silenzio, hanno aperto un nuovo fronte emotivo, ma non dissolvono il dubbio più profondo: si è trattato davvero di un tragico errore, oppure di un atto deliberato?
Saranno le sentenze della magistratura a rispondere, ma intanto, in quell’aula di Bologna, ogni parola pesa, e ogni sguardo resta fisso verso l’unico obiettivo che oggi sembra valere davvero: la verità per Sofia.