
Rinviati a giudizio sei militari tra Guardia di Finanza e Guardia Costiera, accusati di non aver attivato per tempo le procedure di soccorso la notte del naufragio di Cutro. È questa la decisione del giudice per l’udienza preliminare di Crotone, Elisa Marchetto, che ha accolto la richiesta del pubblico ministero Pasquale Festa dopo mesi di indagini e audizioni. Le accuse sono pesantissime: naufragio colposo e omicidio colposo plurimo.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, quella notte sarebbe mancata l’attivazione del piano Sar (Search and Rescue), la procedura standard prevista per il salvataggio delle imbarcazioni in difficoltà. Una mancanza che avrebbe contribuito ad aumentare il numero delle vittime: 94 persone, migranti partiti dalla Turchia, hanno perso la vita quando il loro barcone si è capovolto davanti alle coste di Cutro.

Solo dal terzo paragrafo si entra nei dettagli: tra i finanzieri rinviati a giudizio ci sono Giuseppe Grillo, 56 anni, capo turno della sala operativa del reparto aeronavale di Vibo Valentia; Alberto Lippolis, 50 anni, comandante dello stesso reparto; Antonino Lopresti, 51 anni, ufficiale al comando tattico; e Nicolino Vardaro, 52 anni, comandante del gruppo aeronavale di Taranto. Per la Guardia Costiera, coinvolti Francesca Perfido, 40 anni, ufficiale di ispezione a Roma, e Nicola Nania, 51 anni, in turno quella notte al comando regionale di Reggio Calabria.
Il cuore dell’inchiesta ruota attorno alle presunte omissioni operative nelle ore precedenti al naufragio. I sei militari, secondo gli investigatori, non avrebbero dato il via a un’azione di salvataggio nonostante le segnalazioni sulla presenza dell’imbarcazione a rischio. Una scelta, o meglio un’omissione, che per l’accusa è costata la vita a decine di persone.
La Procura contesta una gestione negligente e sottovalutata della situazione. In particolare, il mancato avvio tempestivo delle operazioni Sar è considerato determinante: quel protocollo, se attivato in tempo, avrebbe potuto mobilitare navi e mezzi aerei in grado di intercettare il barcone prima che affondasse.

Il processo prenderà il via il 14 gennaio 2025, al tribunale di Crotone. Sarà l’occasione per approfondire le responsabilità individuali, raccogliere testimonianze e analizzare la catena di comando che avrebbe dovuto coordinare l’intervento. L’interesse è altissimo anche da parte delle famiglie delle vittime, molte delle quali si costituiranno parte civile.
In aula sarà centrale capire se davvero ci fu un ritardo nella risposta e se questo ritardo fu frutto di sottovalutazioni, errori umani o mancanza di comunicazione tra reparti. Alcuni difensori sostengono che le informazioni disponibili in quel momento non giustificassero l’attivazione del piano Sar.
Il caso ha una portata nazionale perché tocca un nodo delicato: la gestione dei soccorsi in mare, in particolare quando si tratta di migranti. Una questione già più volte al centro del dibattito politico, che ora entra nelle aule giudiziarie con accuse formali rivolte a sei ufficiali.
Sullo sfondo resta il dolore dei sopravvissuti e delle famiglie delle vittime, che chiedono verità e giustizia. Il processo sarà lungo e complesso, ma avrà un valore fondamentale anche sul piano simbolico: chiarire se quella tragedia si poteva evitare, e se qualcuno non ha fatto abbastanza per impedirla.