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Rubio, blitz dell’antiterrorismo in casa sua. Stavolta lo chef rischia grosso: accuse gravissime

Pubblicato: 22/07/2025 14:21
Chef Rubio blitz Digos

Le parole, quando superano un certo limite, diventano micce. E, nel tempo dei social, ogni dichiarazione pubblica è anche un atto potenzialmente politico, penale, collettivo. Non sempre il confine tra opinione e istigazione è chiaro, ma quando la tragedia si intreccia con dichiarazioni violente e tempistiche sospette, l’attenzione della giustizia si fa immediata. Soprattutto se ad essere scomodati da parole di fuoco sono i piani alti della politica.
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È in questo contesto che si inserisce l’indagine aperta dalla magistratura su Gabriele Rubini, conosciuto al grande pubblico come Chef Rubio, ex rugbista e volto televisivo, da tempo attivo in rete con posizioni radicali in materia geopolitica. L’inchiesta, avviata a seguito di alcuni post pubblicati su X nei giorni dell’attacco all’ambasciata israeliana a Washington, ha portato a una perquisizione domiciliare e al sequestro dei dispositivi elettronici del personaggio pubblico.

L’intervento della Digos e il sequestro dei dispositivi

Nelle scorse ore gli agenti della Digos, su disposizione della magistratura, hanno effettuato una perquisizione nell’abitazione di Rubini, con il supporto dell’antiterrorismo. All’origine dell’operazione ci sono due post ritenuti rilevanti ai fini dell’indagine, pubblicati rispettivamente il 21 e il 22 maggio, a ridosso di un grave episodio di violenza verificatosi nella capitale statunitense.

Durante la perquisizione, sono stati sequestrati computer, smartphone, chiavette USB e altri supporti di memoria, strumenti che saranno ora analizzati per valutare eventuali ulteriori elementi utili alle indagini. Chef Rubio è stato successivamente ascoltato presso il commissariato di Frascati, dove gli sono stati contestati gli estremi dell’inchiesta a suo carico.

Post pubblicati poco prima e dopo l’attentato

L’attenzione degli inquirenti si è concentrata in particolare su due messaggi pubblici che Rubini ha condiviso in rete. Il primo, comparso poche ore prima dell’attentato all’ambasciata israeliana di Washington, conteneva un linguaggio definito incendiario e violento, in cui si invocava la “morte ai diplomatici complici del genocidio”, insieme a slogan diretti contro il sionismo, la colonia ebraica e chi, secondo la narrazione proposta, sostiene la causa israeliana.

Il secondo post è stato pubblicato il giorno successivo all’attacco, in cui Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim, funzionari dell’ambasciata, sono stati uccisi davanti al Capitol Jewish Museum da Elias Rodriguez, autore dell’attentato. Rubini ha accompagnato il messaggio con le foto delle due vittime, aggiungendo un commento che paragona il loro ruolo a quello di chi esegue direttamente “omicidi di Stato”, facendo riferimento esplicito a Eichmann e parlando di soldati suprematisti ebraici.

Ipotesi di reato e motivazione razziale

L’inchiesta ipotizza a carico di Rubini i reati di propaganda e istigazione a delinquere, aggravati da motivi di discriminazione razziale e religiosa, ai sensi dell’articolo 604 bis del codice penale. Si tratta di uno dei capi d’accusa più gravi in ambito di reati d’opinione, connessi alla diffusione di contenuti potenzialmente idonei a generare o giustificare atti violenti su base ideologica.

A rilanciare pubblicamente la notizia è stato Alberto Fazolo, attivista e giornalista con trascorsi nel Donbass, che ha condiviso sui social parte della documentazione relativa all’indagine in corso. Fazolo ha definito la vicenda un atto di repressione politica, rilanciando il contenuto dei post e denunciando quella che ritiene una criminalizzazione del pensiero critico.

Un caso che riaccende il dibattito su odio e libertà di espressione

La vicenda riapre il dibattito sul rapporto tra libertà di espressione e discorsi d’odio, soprattutto quando espressi da personaggi noti o con ampia risonanza pubblica. Il profilo di Rubini, da tempo protagonista di prese di posizione forti sui temi del conflitto israelo-palestinese, è ora al centro di una valutazione giudiziaria che potrebbe avere risvolti rilevanti anche sul piano politico e culturale.

In attesa degli sviluppi giudiziari, resta alta la tensione intorno a un episodio che intreccia geopolitica, terrorismo, social media e giustizia penale, in un contesto internazionale già profondamente segnato da polarizzazioni e retoriche estreme.

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