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Cosa dire di Netanyahu: il lavoro sporco, la guerra eterna

Pubblicato: 22/07/2025 14:30


È legittimo dubitare che le bombe israeliane sganciate sull’unica parrocchia cattolica di Gaza siano state frutto di un errore tecnico. Almeno questa è il pensiero del segretario di Stato cardinale Parolin, espresso dopo l’ennesimo appello alla pace di Papa Leone XIV, all’Angelus di domenica scorsa. Naturalmente di errore ha parlato Benjamin Netanyahu, scusandosi con il Papa e invitandolo in Israele.

In realtà dubitare è sempre legittimo, di qualunque evento si parli, in mancanza di prove. A maggior ragione quando ci si riferisce alla guerra in Medio Oriente, provocata dalla strage compiuta da Hamas il 7 ottobre 2013.

Se è stato un errore, è legittimo dubitare delle capacità delle forze armate israeliane. Come è stato legittimo dubitare dell’efficienza dei servizi segreti che non hanno previsto l’attacco di Hamas. È anche legittimo chiedersi come sia possibile che quelle stesse forze armate e di intelligence siano capaci di operazioni “chirurgiche” all’estero e, contestualmente, di centrare un minuscolo obiettivo sbagliato.

D’altra parte, in un contesto politico—militare così confuso, i dubbi legittimi si moltiplicano di giorno in giorno. È legittimo dubitare della credibilità del bollettino quotidiano dei morti palestinesi diffuso dal fantomatico ministero della salute della Striscia, “controllato” da Hamas. È lecito dubitare che le sparatorie sulle code ai centri di distribuzione degli aiuti alimentari siano da attribuire a Israele e non a bande assoldate da Hamas.

È anche lecito chiedersi perché una strage islamista in una Chiesa di Damasco non provoca lo stesso sdegno dell’“errore” di Gaza City. La lista dei dubbi potrebbe essere infinita. Ma riguarderebbe dettagli tragici di una guerra tragica come tutte le guerre. Non è che il conflitto russo-ucraino sia una parodia, e non si ha ancora la minima idea di come possa finire.

A questo punto anche in Medio Oriente è difficile capire come se ne uscirà. L’accordo con Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi ancora in vita è sempre dietro l’angolo, ma sembra ormai un dettaglio rispetto al problema di definire un nuovo assetto politico dell’area. Un assetto solido, duratura, con un ampliamento degli “accordi di Abramo” del 2020, ai quali sembra fosse pronta ad aderite l’Arabia Saudita. Il dialogo era in corso quando Hamas ha attaccato. Su pressione iraniana? E’ più che credibile. Comunque la questione si pone oggi in una situazione ben diversa.

Le fazioni islamiche finanziate da Teheran – Hamas, Hezbollah e ribelli yemeniti – sono state sostanzialmente sconfitte. In Siria non è certo nata un democrazia di tipo occidentale – ricordiamoci l’illusione delle primavere arabe – ma è crollata una dittatura guidata dalla minoranza sciita alawita, protetta dall’Iran e dalla Russia. Un equilibrio interno tra la maggioranza sunnita e le minoranze druse, cristiane, curde e le stesse sciite, non sembra scontato, ma possibile, compresa la non belligeranza con Israele. Piuttosto, il cambio di regime a Damasco ha acuito i problemi italiani ed europei con la Libia, ormai Stato fantasma, con il governo di Tripoli riconosciuto e quello di Bengasi “tollerato”, influenzato dalla Turchia e ora sede della squadra navale russa che ha lasciato la Siria.

Ne’ va dimenticato che – salvo qualche sortita retorica – nessuno Stato arabo dell’area ha preso posizione a favore di Hamas. Piuttosto alcuni hanno operato per gli accordi. È come se Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Giordania, Autorità Nazionale Palestinese, Libano non sciita, persino l’Iraq, si siano affacciati al balcone per vedere come sarebbe finita. Dubitare è sempre lecito. Ma è anche lecito pensare che, in fondo, abbiano ritenuto conveniente affidare a Netanyau il lavoro sporco, cioè costringere l’Iran a non interferire nel Vicino Oriente.

Difficile credere che il premier israeliano non ne sia consapevole. Come è certamente consapevole di non godere del sostegno della maggioranza dei cittadini israeliani. Scioccati dal 7 ottobre non potevano che appoggiarlo, mettendo provvisoriamente da parte la questione della riforma giudiziaria. Ma tra una guerra contro Hamas ed Hezbollah e una guerra infinita contro il mondo, che ora sembra combattuta solo per sopravvivere politicamente e in qualche modo per conto terzi, c’è una differenza abissale, e non è nel sentimento e nelle aspirazioni degli israeliani, salvo la componente estremista dei coloni e dei messianici. Forti, influenti, ma minoritari.

Controverso all’interno, non amato dalla diaspora ebraica, il premier rischia di perdere persino l’appoggio di Trump, sempre più perplesso. All’America e all’Europa non interessa una guerra eterna. Trump è più interessato ai dazi, a trovare una soluzione con Putin e ai rapporti con la Cina. L’Europa ha di conseguenza il problema dazi e molto vicina la guerra russo-ucraina.

Papa Leone, nel condannare l’“errore” del bombardamento della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, ha ribadito di essere contrario alla deportazione forzata della gazawi, che peraltro nessun paese arabo limitrofo è disponibile ad accogliere. L’unica soluzione possibile è restituire alla ANP la sovranità sulla Striscia con una supervisione internazionale della ricostruzione. Facile? No. Ma la guerra eterna – al di là del costo umano – danneggia Israele, il suo popolo, la sua credibilità internazionale, mentre l’antisemitismo si diffonde in Occidente. Netanyahu capirà? In un modo o nell’altro dovrà capire.

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