
Ci sono battaglie che si combattono nel silenzio delle stanze di casa, tra dolore fisico e ostacoli burocratici. Alcune persone, provate da malattie degenerative e incurabili, scelgono di affrontare l’ultima fase della vita con lucidità e coraggio, rivendicando il diritto all’autodeterminazione. In Italia, questo percorso resta spesso complesso e faticoso, tra limiti normativi e tempi dilatati, anche quando il quadro clinico è inequivocabile.
In un Paese dove il tema del fine vita continua a dividere, la storia di chi chiede di poter morire con dignità riporta al centro la discussione su diritti fondamentali, libertà individuali e rispetto della sofferenza altrui. E lo fa attraverso voci che non chiedono pietà, ma ascolto, riconoscimento e coerenza da parte delle istituzioni.

Laura Santi: “Sto per morire, portatemi via sorrisi”
Laura Santi, giornalista perugina di 50 anni, è morta questa mattina nella sua abitazione, dopo essersi auto-somministrata un farmaco letale. La donna era affetta da sclerosi multipla avanzata e irreversibile e da anni combatteva per vedere riconosciuto il diritto al suicidio medicalmente assistito. Accanto a lei, fino all’ultimo, il marito Stefano, che ha sostenuto ogni passo del suo percorso. «Nell’ultimo anno le sue sofferenze erano diventate intollerabili», ha dichiarato l’uomo.
La sua richiesta era stata formalmente accolta nel novembre 2024 dall’Asl di Perugia, dopo un lungo iter giudiziario e sanitario. Secondo la valutazione medica, Laura possedeva tutti i requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale: era capace di autodeterminarsi, affetta da una patologia irreversibile e fonte di gravi sofferenze, dipendente da trattamenti di supporto vitale.
“Io scelgo di andarmene così”
Nelle sue parole, affidate all’Associazione Luca Coscioni, Laura aveva spiegato con lucidità la sua scelta: «Sono completamente tetraplegica. Ho perso il tronco, le braccia, ho incontinenza e spasmi dolorosi. Ma è giusto che siamo noi, che viviamo questa condizione estrema, a decidere». Poi l’ultimo saluto: «Sto per morire. Non potete capire che senso di libertà provo. Portatemi via sorrisi. Ricordatemi».
Il percorso che l’ha condotta a questo esito è stato segnato da ritardi, ricorsi e ostacoli legali, come ricordato dalla stessa associazione: due denunce, una diffida, un ricorso d’urgenza e un reclamo. Solo dopo tre anni è arrivata la valutazione definitiva e la conferma del comitato etico sul protocollo farmacologico. La sua storia rimarrà una testimonianza importante nel dibattito italiano sul diritto a scegliere la propria fine.