
Ci sono date che non si aspettano, ma che diventano inevitabili. Giorni in cui la memoria si intreccia alla giustizia, e ogni parola detta in aula è carica del peso della perdita. Non è solo una questione legale: è un passaggio umano, emotivo, collettivo. Un tentativo, forse l’ultimo, di fare i conti con ciò che è accaduto e con ciò che non potrà più essere.
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Quando la violenza interrompe la vita nel modo più crudele, tutto il resto si ferma. Restano il dolore, le domande, e quella necessità profonda di vedere riconosciuta la verità. Anche se la giustizia ha già parlato, anche se c’è già una condanna. Perché ciò che conta davvero, in fondo, è che i fatti siano ricostruiti con rigore, con rispetto, con quella lucidità che il dolore non può mai garantire da solo.

Appello fissato per il 14 novembre: Turetta torna in aula
Si aprirà il 14 novembre 2025 il processo d’appello a Filippo Turetta, condannato all’ergastolo in primo grado per l’uccisione di Giulia Cecchettin, la studentessa veneta trovata morta dopo giorni di ricerche nel novembre 2023. L’udienza si terrà nell’aula bunker di Mestre, dinanzi alla Corte d’assise d’appello, presieduta dal giudice Michele Medici.
La notifica della data è arrivata martedì 22 luglio 2025, comunicata alla Procura generale, al difensore dell’imputato, l’avvocato Giovanni Caruso, e ai legali dei familiari della vittima, che si sono costituiti parte civile e in primo grado avevano ottenuto un risarcimento danni.
La difesa della famiglia: «Non basta la pena, serve verità»
A pochi mesi dall’avvio del nuovo giudizio, le parole dell’avvocato Stefano Tigani, legale del padre di Giulia, Gino Cecchettin, indicano la direzione che la famiglia intende seguire anche in appello: quella di una ricostruzione rigorosa dei fatti, oltre ogni richiesta simbolica. Al suo fianco, anche gli avvocati Nicodemo Gentile e Piero Coluccio, che assistono rispettivamente la sorella e lo zio della vittima.
«Non esiste sentenza giusta se i fatti che la sorreggono non sono stati prima ricostruiti, accertati, qualificati con esattezza – ha dichiarato Tigani –. Se manca la verità dei fatti, manca tutto. Anche la pena più dura, anche l’ergastolo inflitto, resta una risposta approssimativa a un problema che non abbiamo saputo comprendere a fondo».
Una posizione netta, che sottolinea come l’impegno processuale della famiglia Cecchettin non sia mosso da spirito di vendetta, ma dalla volontà di ottenere una verità storica completa, attraverso il pieno rispetto del metodo giudiziario. «Non è richiesta di pena esemplare, ma anelito di verità», ha ribadito il legale.

La condanna in primo grado e l’attesa del secondo verdetto
Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per aver ucciso la sua ex compagna al termine di una relazione sentimentale finita mesi prima. Il caso, seguito con grande partecipazione pubblica e mediatica, aveva scosso profondamente l’opinione pubblica per la ferocia dell’omicidio e per la lunga fuga dell’imputato, poi arrestato all’estero e estradato in Italia.
Il primo grado si è concluso con una sentenza severa, ma ora sarà la Corte d’assise d’appello di Venezia a riesaminare il caso. In aula verranno valutati atti, testimonianze e perizie già esaminati in precedenza, ma non si esclude che la difesa possa presentare nuovi elementi.
Un processo che resta simbolo
Il caso Cecchettin-Turetta ha segnato uno spartiacque nel dibattito pubblico italiano sulla violenza contro le donne, portando a un rinnovato impegno sociale, politico e mediatico. Tuttavia, per la famiglia della vittima, l’unico impegno che conta è quello della giustizia formale, dei fatti documentati, del rigore giuridico.
L’udienza del 14 novembre sarà il primo passo di un nuovo giudizio, in cui il dolore incontrerà ancora una volta il diritto. Ma per chi cerca una verità che non sia solo giudiziaria, ogni parola sarà carica di significati più profondi: quelli della memoria, del rispetto e della dignità negata.