
Quando apriamo Instagram o Facebook ci troviamo di fronte a un bivio: accettare pubblicità personalizzate, oppure pagare un abbonamento mensile per liberarcene. La schermata, comparsa all’improvviso, può sembrare un bug o una truffa, ma è invece l’esito visibile di un braccio di ferro durato anni tra Meta e le autorità europee. Non è una mossa commerciale: è l’effetto delle norme che regolano privacy, profilazione e trasparenza online, a partire dal GDPR fino al nuovo Digital Services Act.
Dietro quella richiesta c’è una lunga trattativa tra chi ha costruito un impero sulla pubblicità comportamentale e chi chiede, per legge, che gli utenti possano davvero scegliere se farsi profilare o no. Per questo, oggi, Meta presenta due o tre opzioni: restare gratis con gli annunci su misura, pagare un abbonamento per non riceverli, oppure – solo in alcuni casi – continuare a vedere spot meno personalizzati, ma più invadenti.
Come siamo arrivati fin qui

Tutto parte da una sentenza della Corte di giustizia europea del luglio 2023: secondo i giudici, il pagamento può valere come consenso solo se c’è una vera alternativa gratuita. Meta ha risposto con un primo abbonamento da 12,99 euro al mese su mobile, che però è stato ritenuto troppo alto e troppo coercitivo. La Commissione ha chiesto un modello più equo. Così l’azienda ha tagliato il prezzo a 7,99 euro e introdotto una terza via: inserzioni basate solo su età, genere, posizione approssimativa e contenuti appena visualizzati, con l’aggiunta di spot video non skippabili.
La finestra che ora vediamo su smartphone e desktop è il risultato di questi passaggi. E non è detto che sia l’ultima versione.
Cosa cambia per davvero

Accettare di continuare gratuitamente significa dare il consenso al tracciamento esteso: ogni clic, ogni interazione, ogni sito esterno consultato viene usato per definire un profilo pubblicitario dettagliato. Chi sceglie l’abbonamento, invece, ottiene – almeno in teoria – una versione delle app senza targeting comportamentale.
La terza opzione, che si sta diffondendo nelle ultime settimane, rappresenta un compromesso: le pubblicità restano, ma si basano solo su informazioni limitate e contestuali. Il risultato è un feed più generico, spot meno pertinenti e un’esperienza che può ricordare quella della TV generalista.
Il valore dei nostri dati
Con la riduzione dei prezzi, Meta rende esplicito un dato: il valore medio di un utente europeo per l’azienda è circa 72 euro all’anno. Cifra che riflette quanto ogni profilo genera in pubblicità. Per questo, anche se una quota di utenti scegliesse di pagare, l’impatto sul fatturato potrebbe arrivare fino al 15% – secondo analisti citati dalla CNBC.
Tuttavia, Meta scommette sul fatto che la stragrande maggioranza continuerà a usare la versione gratuita. Come accade su YouTube Premium o Spotify, solo una minoranza è disposta a pagare per evitare la pubblicità. L’importante, per Bruxelles, è che la scelta sia libera e consapevole.
Le regole europee
L’intero cambiamento si basa su un impianto normativo che negli ultimi anni ha alzato l’asticella per tutti i colossi digitali. Il GDPR impone un consenso esplicito e revocabile. Il DMA costringe le piattaforme dominanti a offrire alternative reali alla profilazione. Il DSA, entrato in vigore nel 2024, vieta ogni targeting comportamentale su minori e proibisce l’uso di dati sensibili per fini pubblicitari. La combinazione di queste norme ha costretto Meta a tradurre in una schermata binaria ciò che la legge definisce come un diritto fondamentale.
Le critiche
Molte associazioni – tra cui NOYB, BEUC e Assoutenti – hanno definito l’interfaccia un dark pattern: il pulsante per restare con le pubblicità è grande, colorato, al centro dello schermo; quello per pagare è più piccolo, defilato. E all’inizio mancava una vera opzione intermedia. La successiva introduzione di pubblicità “meno personalizzate”, ma più invasive, ha sollevato nuovi dubbi. In particolare: perché inserire spot video obbligatori, se non per rendere l’esperienza fastidiosa e spingere gli utenti verso l’abbonamento?
Cosa cambia per aziende e creator
Per il pubblico, la differenza principale è che la privacy ha ora un prezzo preciso. Chi paga ottiene un feed relativamente “pulito”, senza tracciamento incrociato, anche se i contenuti sponsorizzati pubblicati dagli influencer restano visibili. Chi resta gratuito accetta la raccolta dei propri dati oppure si espone a un’esperienza più frammentata e meno fluida.
Per le aziende, si apre una nuova fase: dovranno suddividere i budget pubblicitari tra campagne basate su profili, annunci contestuali e contenuti brandizzati. È probabile che il costo per mille impression cresca nelle prime due. I creator, invece, si troveranno in un feed meno congestionato dagli annunci tradizionali, dove le collaborazioni commerciali risalteranno di più. Ma dovranno rispettare le nuove regole di trasparenza obbligatoria imposte dal DSA.
Il confronto con altri social
Meta non è sola. YouTube propone da anni un abbonamento “no ads” a 11,99 euro, che include download offline e riproduzione in background. TikTok lo sta testando nel Regno Unito. X, l’ex Twitter, offre una rimozione parziale delle pubblicità e alcune funzioni extra (post lunghi, spunta blu) a circa 9,68 euro. Rispetto a questi, Meta si posiziona con una proposta più economica – 5,99 euro via browser – ma più essenziale.
Gli scenari futuri
Tutto dipenderà dal giudizio della Commissione europea sulla nuova opzione “meno personalizzata”. Se verrà considerata inadeguata, Meta rischia sanzioni fino a 22,5 milioni di euro al giorno. Gli esperti ipotizzano una quarta scelta: un pulsante “decidi più tardi”, che permetta agli utenti di rimandare la decisione. Intanto, l’azienda investe in modelli pubblicitari fondati solo su segnali contestuali, dove l’intelligenza artificiale analizza in tempo reale ciò che si guarda – un Reel, una foto – e propone uno sponsor senza tracciare l’utente.
Il vero costo della gratuità
Qualunque sia la scelta dell’utente, l’esperienza sui social cambia. Il messaggio che compare sugli schermi è il simbolo di un’epoca che finisce: quella in cui “gratis” significava solo dati ceduti in cambio di servizi. Ora quel prezzo è quantificato, monetizzato, formalizzato. E l’Europa si propone come laboratorio globale di una nuova economia dell’attenzione. Se davvero prevarrà l’idea che la pubblicità personalizzata possa sopravvivere solo come funzione premium, l’intera filiera dell’ad-tech sarà costretta a reinventarsi. Per gli utenti, la consapevolezza su cosa si cede e cosa si ottiene diventa la sola vera forma di difesa.