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“Un altro cadavere”. Garlasco, la clamorosa rivelazione dell’esperto

Pubblicato: 25/07/2025 13:43

La contaminazione della garza utilizzata per il tampone orofaringeo eseguito sul corpo di Chiara Poggi durante l’autopsia non è un’ipotesi da escludere. A sostenerlo è il dottor Alberto Bonsignore, direttore della Medicina Legale dell’ospedale Gaslini di Genova, intervistato nel programma Zona Bianca su Rete 4. Il medico legale ha spiegato che, da quanto risulta, “nella relazione autoptica si parla di tampone orofaringeo, ma poi sembrerebbe che il prelievo sia stato fatto con una garza”.

Una differenza tutt’altro che trascurabile, ha precisato Bonsignore, dal momento che “una garza è molto più esposta alla contaminazione rispetto a un tampone sterile, che viene conservato in confezione sigillata e maneggiato in condizioni controllate”. Le garze, invece, vengono spesso aperte all’inizio dell’autopsia e lasciate su un carrellino operativo, a contatto con l’ambiente. “In questo modo – ha aggiunto – il rischio di contaminazione aumenta”.

Il medico ha spiegato inoltre che, nel caso in esame, non si può escludere una contaminazione da un altro cadavere e non necessariamente da un operatore. “È un’eventualità possibile”, ha detto, “perché spesso nelle sale autoptiche si lavora su due tavoli paralleli. Il trasferimento di materiale biologico da un corpo all’altro, seppure raro, può avvenire”.

Nel frattempo, l’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco nel 2007, si arricchisce di un nuovo capitolo. Il gip ha conferito un incarico a un dattiloscopista per eseguire ulteriori accertamenti su impronte digitali latenti e su quelle eventualmente presenti nelle fascette para-adesive e nei fogli di acetato usati durante i rilievi. Lo scopo è quello di chiarire ogni possibile dubbio e fornire risposte certe su questo caso che, a 17 anni di distanza, continua a far discutere.

Uno dei punti più controversi resta la cosiddetta impronta 33, un frammento parziale trovato sulla scena del crimine. La famiglia Poggi, rappresentata dall’avvocato Gian Luigi Tizzoni, aveva chiesto l’estensione dell’incidente probatorio anche a questo elemento. Tuttavia, la Procura di Pavia ha dichiarato inammissibile la richiesta, in quanto il materiale originale necessario per un confronto non esiste più.

Secondo l’accusa, esiste soltanto una fotografia dell’impronta 33, che però può essere analizzata con metodi ripetibili e non necessita, quindi, di essere inclusa nell’incidente probatorio. Una posizione che ha suscitato la dura reazione dell’avvocato Tizzoni: “Il Codice prevede che la Procura debba compiere indagini anche nell’interesse dell’indagato”.

“Qui – ha proseguito il legale – si è deciso di estendere gli accertamenti nell’interesse di Alberto Stasi, il condannato, ma non si accolgono le richieste della famiglia della vittima”. Per Tizzoni, questa è una decisione “che lascia amarezza e che non va nella direzione di una giustizia pienamente trasparente”.

Il caso di Garlasco continua così a suscitare interrogativi. Mentre le indagini sulla garza contaminata riprenderanno con il ritorno operativo del perito nominato dal gip, il dibattito sul metodo e sull’imparzialità dell’inchiesta giudiziaria non accenna a placarsi. Chiara Poggi, brutalmente uccisa a 26 anni, continua a essere al centro di una vicenda che, a distanza di anni, non trova pace.

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