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Dazi, la sconfitta dell’Europa è tutta nei numeri: perché ci siamo arresi

Pubblicato: 28/07/2025 08:57
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L’Unione europea ha scelto la via della diplomazia, ma il prezzo da pagare rischia di essere insostenibile. L’accordo raggiunto ieri tra Donald Trump e Ursula von der Leyen segna un momento critico nei rapporti transatlantici: in cambio di una fragile stabilità politica, Bruxelles ha accettato condizioni commerciali pesantemente penalizzanti. In particolare, il dazio medio applicato dagli Stati Uniti alle merci europee passerà dal 4,8% al 15%, un incremento senza precedenti e privo di fondamento economico.
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Nonostante le accuse di Trump, secondo cui l’Europa avrebbe danneggiato gli interessi americani negli anni passati, i dati disponibili non supportano questa narrativa. L’Unione ha dunque preferito evitare lo scontro frontale, scegliendo di contenere i danni piuttosto che aggravare una situazione già instabile.

Una trattativa al ribasso, senza reali contropartite

La strategia europea si è rivelata un lungo inseguimento alle richieste di Washington, che si sono fatte via via più aggressive. Ursula von der Leyen, pur con l’appoggio dei 27 Stati membri, si è trovata progressivamente in una posizione negoziale di crescente debolezza. Per arrestare l’emorragia di concessioni, la Commissione ha accettato condizioni un tempo inimmaginabili: azzeramento dei dazi sull’import Usa, acquisti di gas liquido per 750 miliardi di dollari, investimenti diretti negli Stati Uniti per 600 miliardi di dollari, e un impegno – dichiarato da Trump – all’acquisto di un «enorme quantitativo di armi».

Un pacchetto che rappresenta un’inversione di rotta rispetto alle precedenti ambizioni europee di autonomia strategica e rafforzamento industriale interno. La presidente della Commissione ha così preferito “patteggiare” con gli Usa, piuttosto che imboccare un conflitto economico che si sarebbe potuto trasformare in una tempesta finanziaria globale.

Il mancato confronto iniziale: un errore politico

Il vero errore strategico dell’Ue risale a quattro mesi fa, quando Bruxelles ha scelto di non rispondere duramente all’offensiva commerciale americana. Diversamente da Cina e Canada, che hanno reagito con fermezza e misure di ritorsione, l’Europa ha lasciato spazio a un’escalation unilaterale da parte di Trump. I dati storici sulla crescita economica mostrano che l’accusa americana di un’Europa predatoria è infondata, ma ormai la finestra per una smentita efficace si è chiusa.

L’eventuale esplosione di dazi – che Trump minacciava di portare al 30% dal primo agosto – avrebbe scatenato un contro-attacco europeo da 90 miliardi di dollari, con conseguenze devastanti sul piano economico e politico. Da qui la scelta di un accordo imperfetto, ma in grado di evitare il peggio.

Settori penalizzati e scenari futuri

Tra i settori più colpiti ci sono quelli dell’acciaio e dell’alluminio, le cui tariffe restano al 50%, costringendo le imprese europee a cercare sbocchi alternativi. Solo il comparto automobilistico può respirare: il dazio sui veicoli passa dal 27,5% al 15%, aprendo un piccolo spiraglio di competitività per i produttori europei. Tuttavia, resta da vedere se il problema del calo delle vendite sia solo legato ai dazi o anche ad altri fattori strutturali.

Il nodo più spinoso, però, è quello della tecnologia. Gli Stati Uniti pretendono che l’Europa si sganci dalla Cina nella catena di fornitura dei semiconduttori, elemento cruciale per una vasta gamma di settori industriali. La questione è tutt’altro che risolta, e rischia di alimentare nuove tensioni nei prossimi mesi.

L’Italia tra le vittime: in bilico agroalimentare e industria militare

Anche l’Italia dovrà fare i conti con l’impatto di questo accordo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso «soddisfazione» per l’intesa, ma ha sottolineato la necessità di esaminare i dettagli prima di esprimere un giudizio complessivo. Il settore agroalimentare è particolarmente vulnerabile: l’idea è di negoziare accordi diretti con gli importatori americani per ammortizzare il peso dei dazi senza trasferirlo interamente sui consumatori.

Sul fronte della difesa, l’impegno ad acquistare armi statunitensi contrasta apertamente con il progetto europeo di un’industria militare autonoma. Una contraddizione che rischia di indebolire il percorso verso una difesa comune europea, obiettivo più volte ribadito da Bruxelles, ma ora messo in discussione dai fatti.

Un equilibrio precario che non rassicura

In definitiva, l’accordo siglato da von der Leyen e Trump appare come una scelta forzata, dettata più dalla necessità di evitare il disastro che da una reale visione strategica. Le imprese europee, già messe a dura prova da una congiuntura globale incerta, si troveranno a operare in condizioni ancora più difficili. La forza lavoro del continente potrebbe subire conseguenze dirette, con ricadute sull’occupazione e sulla competitività.

La sfida ora è gestire gli effetti di questa svolta, evitare che la crisi commerciale si trasformi in una crisi di fiducia interna all’Unione e ristabilire un minimo di equilibrio nei rapporti con Washington, senza perdere ulteriore terreno sul piano economico e politico.

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