
Tra comunicati ufficiali, strette di mano e flash dei fotografi, la scena in Scozia sembra raccontare una svolta storica nei rapporti tra Stati Uniti e Unione europea. Eppure, dietro il protocollo e le dichiarazioni formali, l’accordo sui dazi commerciali siglato da Donald Trump e Ursula von der Leyen lascia spazio a dubbi, interpretazioni e qualche incertezza strategica. Perché il linguaggio diplomatico ha spesso più silenzi che parole, e stavolta sono proprio i dettagli non esplicitati a generare tensioni.
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L’annuncio dell’intesa ha scatenato reazioni contrastanti da entrambe le sponde dell’Atlantico. C’è chi saluta l’accordo come una boccata d’ossigeno per i mercati, e chi invece sottolinea la mancanza di chiarezza su settori chiave. In questa ambiguità si muovono analisti, governi e imprese, in attesa di conoscere la reale portata dell’intesa e gli effetti concreti sull’economia europea e globale.
L’accordo raggiunto in Scozia
La notizia è arrivata al termine di un vertice ad alta tensione in Scozia, dove il presidente americano Donald Trump e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen hanno firmato un accordo commerciale volto a rivedere il regime dei dazi doganali tra le due potenze economiche. Il fulcro dell’intesa è l’introduzione di una tariffa unica del 15% sulle merci esportate dall’Unione europea verso gli Stati Uniti.

Il nuovo dazio flat sostituisce un meccanismo più rigido e punitivo, che inizialmente prevedeva un’aliquota del 20%, con la minaccia concreta – più volte ribadita da Trump – di un incremento al 30%. La decisione finale di imporre un dazio fisso al 15% sembra quindi una mediazione tra le pretese americane e la necessità europea di difendere la competitività delle proprie industrie.
Settori coinvolti e punti ancora controversi
Tra i nodi principali dell’accordo c’è l’elenco definitivo dei settori soggetti alle nuove tariffe. Sebbene le autorità abbiano confermato l’applicazione della tassa a partire dal 1° agosto, la lista dettagliata dei beni coinvolti non è stata ancora pubblicata. Questo ritardo alimenta incertezza e malumori tra gli operatori economici europei.
Una delle certezze emerse riguarda il settore automobilistico. I produttori europei, già sottoposti a una tariffa combinata del 27,5% (tra il 2,5% preesistente e il 25% aggiunto da Trump nel 2024), vedranno ora una riduzione al 15%. Un vantaggio solo apparente, come sottolineano le principali case automobilistiche: lo sconto è reale, ma l’impatto sul settore rimarrà negativo, poiché la tariffa continua a rappresentare una barriera significativa per le esportazioni.
Le dichiarazioni ufficiali e la posizione europea
Secondo quanto riportato dal Commissario Ue Maros Sefcovic, intervenuto oggi davanti al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’Ue), restano diversi punti irrisolti. Tra questi, la gestione delle esenzioni settoriali, il trattamento delle imprese già colpite da sanzioni precedenti e gli impegni in materia di investimenti reciproci, finora solo accennati nei comunicati ufficiali.
Von der Leyen ha tuttavia definito il patto come un passo verso una “maggiore stabilità dei mercati”, sottolineando che l’accordo consente di disinnescare un’escalation che avrebbe potuto compromettere l’intero equilibrio commerciale tra Europa e Stati Uniti. Dall’altra parte, Trump ha insistito sulla necessità di fissare un minimo del 15% per garantire la “parità di condizioni” per le imprese americane.
Le reazioni dei mercati e il futuro dei rapporti transatlantici
La reazione iniziale dei mercati è stata prudente. Alcuni settori – come quello agricolo e dell’acciaio – sperano in una esclusione dall’elenco delle merci tassate, mentre altri osservano con preoccupazione l’eventualità che anche nuovi prodotti vengano inclusi nei prossimi aggiornamenti dell’accordo.

Al di là degli effetti immediati, l’intesa siglata in Scozia rappresenta un segnale politico forte, che rilancia il dibattito su protezione commerciale, autonomia strategica europea e relazioni future tra Bruxelles e Washington. Tuttavia, senza una piena trasparenza sugli impegni assunti, il rischio è che l’accordo resti una cornice diplomatica priva di contenuti certi.
Un’intesa da chiarire
Con l’avvicinarsi della data di applicazione delle nuove tariffe, le aziende europee chiedono risposte concrete. I governi nazionali spingono per conoscere l’esatta articolazione dei dazi e delle esenzioni. Nel frattempo, l’Ue appare divisa tra la volontà di difendere il patto e la necessità di tutelare i settori più esposti.
Il patto Trump-von der Leyen, nato in un clima di apparente collaborazione, è ancora lontano dall’essere un modello di chiarezza e coerenza. Il rischio è che, dietro la stretta di mano, si nascondano ambiguità capaci di riaccendere tensioni, proprio nel momento in cui servirebbe stabilità.