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Servizio militare obbligatorio anche per le donne: una rivoluzione

Pubblicato: 28/07/2025 10:15
Obbligo leva donne cambia tutto

Nel mondo che cambia, anche la guerra cambia volto. Un tempo, la difesa della patria era affare maschile, legata a un’idea di forza e comando che escludeva, quasi per definizione, le donne. Oggi, quella narrazione vacilla. Le nuove minacce non guardano al genere e i governi si adeguano, riformulando il concetto di cittadinanza attiva anche sul fronte militare. La neutralità non è più solo un’opzione geografica, ma un’illusione che il clima geopolitico attuale costringe ad abbandonare.
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La parità di genere, invocata per anni nei luoghi del potere, ora si estende ai campi d’addestramento, alle caserme, alle esercitazioni in mimetica. Non si tratta più soltanto di riconoscere il diritto di partecipare alla difesa comune, ma di rendere obbligatoria quella partecipazione. Anche per chi, fino a poco tempo fa, veniva esonerata per definizione.

La Danimarca introduce la leva obbligatoria per le donne

Dal 1° luglio, in Danimarca, la leva militare obbligatoria è diventata una realtà anche per le donne. Tutti i cittadini danesi, superata la soglia dei 18 anni, sono ora chiamati a prestare servizio per un periodo che è stato esteso da 4 a 11 mesi, senza distinzioni di sesso. Il paese scandinavo si allinea così a Norvegia e Svezia, unendo la propria bandiera a quelle degli unici Stati europei dove la parità tra i generi vale anche in tempo di guerra.

Le motivazioni che hanno spinto il governo di Copenaghen a prendere questa direzione sono tutt’altro che simboliche. Come spiegato dal ministro della Difesa Troels Lund Poulsen, la decisione è legata alla crescente insicurezza internazionale, in particolare dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Per il governo danese, la misura rappresenta non solo un adeguamento strategico alle nuove minacce, ma anche un “importante passo verso la piena parità tra uomini e donne”.

Addestramento, sorteggio e obiezione: le nuove regole

Fino a oggi, le donne in Danimarca potevano arruolarsi volontariamente. Ora, chi non si offre su base spontanea potrà essere sorteggiata, se necessario, per raggiungere la quota annuale di reclute, fissata per il futuro a 6.500 soldati entro il 2033, contro i circa 4.700 attuali. Il programma prevede cinque mesi di addestramento di base, inclusi esercizi sull’uso delle armi, seguiti da sei mesi di specializzazione.

Chi non si presenta alla selezione obbligatoria rischia una sanzione fino a 2.000 euro, salvo diritto riconosciuto all’obiezione di coscienza. In tal caso, il servizio civile – ora anch’esso prolungato – potrà durare fino a 12 mesi.

L’Europa tra riforme militari e riscoperta della leva

Il caso danese rientra in un quadro più ampio di riflessione strategica che attraversa tutta l’Europa. Dopo decenni di abolizione della leva obbligatoria – come in Francia, Italia, Belgio e Olanda negli anni ’90 e 2000 – il clima internazionale ha spinto alcuni Paesi a interrogarsi sull’opportunità di recuperare una forza di riserva strutturata. La Germania, ad esempio, sta discutendo la reintroduzione dell’obbligo per gli uomini, mentre altrove si ragiona su modelli misti, in cui volontariato e sorteggio convivono.

La guerra in Ucraina ha rappresentato un punto di svolta. La sensazione di vulnerabilità è tornata a farsi concreta. Non è più un’ipotesi accademica ma una realtà con cui fare i conti. Le risorse umane – in caso di emergenza – devono essere pronte e disponibili: non solo uomini, ma tutta la popolazione in età utile.

I numeri italiani e la leva sospesa

Nel nostro Paese, la leva obbligatoria è stata sospesa dal 1° gennaio 2005, con l’entrata in vigore della Legge Martino, che ha sancito la transizione a Forze Armate completamente professionali. Tuttavia, la sospensione non è una cancellazione: in caso di guerra o grave crisi, la leva potrebbe essere riattivata con provvedimenti straordinari.

Intanto, cresce la presenza femminile nelle Forze Armate italiane. Le ultime rilevazioni indicano oltre 22 mila donne in divisa, circa l’8% del personale totale, impegnate in tutte le specialità, incluse le missioni internazionali. Il reclutamento avviene con selezioni unificate, con differenze solo nei parametri fisici di resistenza, forza e agilità, analogamente a quanto accade nello sport.

Israele e gli altri: chi obbliga davvero tutti

Al di fuori dell’Europa, uno dei casi più emblematici è Israele, dove la leva militare obbligatoria è attiva fin dalla fondazione dello Stato, nel 1948, e coinvolge sia uomini che donne, anche se con una durata diversa: 32 mesi per i primi, 24 per le seconde. La misura si applica anche agli israeliani residenti all’estero o con doppio passaporto. La partecipazione è obbligatoria per ebrei e drusi, ma volontaria per gli arabi.

Anche in alcune nazioni africane – come Eritrea, Mali, Mozambico, Niger e Capo Verde – esiste l’obbligo di leva femminile, spesso con caratteristiche molto diverse e legate a dinamiche interne di sicurezza o instabilità.

Un’Europa che cambia volto (e uniformi)

Ciò che emerge dal caso danese è il cambio di paradigma: non più un esercito riservato a chi sceglie di farne parte, ma un sistema collettivo di responsabilità, in cui la difesa nazionale diventa parte integrante della cittadinanza. Anche la parità di genere, in questo nuovo scenario, assume una forma diversa: non solo diritto di accesso, ma dovere condiviso.

Nel frattempo, l’Italia resta ferma, almeno per ora, su un modello basato sulla professionalizzazione, senza dare segnali concreti di voler ripristinare l’obbligo. Ma il contesto muta velocemente. E se il mondo ci ha insegnato qualcosa negli ultimi anni, è che le emergenze arrivano senza preavviso. E che, a quel punto, l’elmetto potrebbe non essere più una scelta.

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