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Dazi, l’accordo non uguale per tutti: chi ci guadagna e chi ci perde

Pubblicato: 29/07/2025 08:44
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L’accordo “scozzese” tra Donald Trump e Ursula von der Leyen divide l’Unione europea. L’intesa, discussa e in via di formalizzazione entro il primo agosto, mira a ricucire i rapporti commerciali tra Washington e Bruxelles. Secondo quanto dichiarato dal Commissario al Commercio Maros Sefcovic, i 27 Stati membri sono stati coinvolti nelle fasi preparatorie e restano in costante contatto con la presidente della Commissione. Tuttavia, le reazioni sono profondamente divergenti, in un quadro che riflette i diversi interessi economici e politici delle capitali europee.
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L’Irlanda punta tutto sulle big tech

Dublino sostiene con convinzione l’operato della Commissione europea. E lo fa nonostante sia tra i Paesi più colpiti dal nuovo dazio americano. Le sue esportazioni verso gli Stati Uniti raggiungono i 70 miliardi di euro, superate solo da quelle della Germania e seguite da quelle dell’Italia. Ma il legame storico con le big tech americane, tra cui Apple, Google, Meta, oltre alle grandi aziende farmaceutiche come Pfizer e Johnson & Johnson, giustifica l’entusiasmo irlandese verso l’accordo. Il governo ha infatti spinto sin dall’inizio per trovare una via che potesse stabilizzare i rapporti con la Casa Bianca, anche a costo di fare concessioni importanti.

Madrid e Parigi, tra autonomia e opposizione

La Spagna di Pedro Sanchez mantiene una posizione critica. Pur senza ostacolare apertamente l’intesa, il premier spagnolo ribadisce l’urgenza di una maggiore autonomia strategica europea. Il suo “va bene” all’accordo è tutt’altro che entusiasta. Sanchez è stato l’unico leader a opporsi all’aumento delle spese militari imposto da Trump, e continua a chiedere che l’Europa si emancipi politicamente, economicamente e militarmente dagli Stati Uniti.

Il fulcro dell’opposizione, però, si trova a Parigi. Il presidente Emmanuel Macron ha espresso un forte disappunto su più fronti. L’intesa, secondo la Francia, danneggia le sue esportazioni (47 miliardi di euro) e impone clausole inaccettabili. Tra queste, l’impegno all’acquisto di gas, petrolio e uranio americani per un valore annuo di 250 miliardi di euro, che mette in discussione l’autonomia energetica francese. Soprattutto, la prospettiva di aumentare gli acquisti di armi made in USA mina gli sforzi della Commissione per rafforzare l’industria militare europea. Un cortocircuito che alimenta l’irritazione dell’Eliseo.

Berlino gioca su due tavoli

In equilibrio tra pragmatismo e vantaggio diretto, la Germania approva l’accordo. Il nuovo Cancelliere Friedrich Merz si è mosso con rapidità per costruire un dialogo diretto con Trump e consolidare l’influenza tedesca a Bruxelles. Berlino ottiene infatti un risultato tangibile: il dazio sulle auto tedesche scende dal 27,5% al 15%. Un segnale che la campagna americana contro l’industria automobilistica tedesca potrebbe essere al capolinea.
Ma non tutti sono soddisfatti. La potente Confindustria tedesca critica il merito e il metodo del negoziato. Le esportazioni tedesche verso gli USA superano i 161 miliardi di euro e toccano quasi ogni settore. Il dazio del 15%, seppur ridotto, colpirà comunque una fetta ampia dell’economia. I diplomatici tedeschi stanno già lavorando per correggere il testo dell’intesa e ridurre l’impatto sulle imprese.

Scandinavi e baltici: pragmatismo e sicurezza

In Svezia, paese tradizionalmente contrario al protezionismo, l’accordo viene accolto con relativa serenità. L’economia svedese ha da tempo puntato su un export di prodotti di nicchia ad alto valore aggiunto, meno sensibili all’effetto dei dazi. Inoltre, i settori digitale ed elettronico potrebbero trarre beneficio da un rapporto rafforzato con i produttori statunitensi.

Simile il caso della Polonia e dei Paesi baltici, che vedono nell’intesa un’occasione di consolidamento della sicurezza militare. Le esportazioni polacche verso gli Usa ammontano a 11,6 miliardi di euro: un volume contenuto rispetto ad altri Paesi. Ma il vero interesse risiede negli acquisti di armi americane, considerati prioritari da Varsavia e dagli alleati dell’est.

I Paesi Bassi e l’interesse per la logistica

I Paesi Bassi, pur più esposti della Francia in termini di esportazioni verso gli Stati Uniti (43,4 miliardi di euro), non si oppongono all’accordo. Il governo olandese punta a tutelare l’interesse strategico del Paese, che dipende in gran parte dal buon funzionamento delle rotte transatlantiche. Una guerra commerciale con Washington metterebbe in crisi la logistica portuale, in particolare il porto di Rotterdam, snodo vitale per l’economia olandese ed europea.

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