
Il dossier sul riconoscimento della Palestina è tornato a dominare il dibattito internazionale, spinto dalla tragedia in corso a Gaza e dalla svolta diplomatica della Francia. In questo scenario, anche la Santa Sede alza la voce: “Non è prematuro”, ha dichiarato il cardinale Pietro Parolin, rilanciando con forza la posizione vaticana a favore della nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano, come unica via per una pace duratura in Medio Oriente.
Le parole di Parolin arrivano in apertura della conferenza delle Nazioni Unite organizzata da Francia e Arabia Saudita a New York. Un appuntamento fortemente boicottato da Israele e dagli Stati Uniti, contrari a quella che considerano una forzatura diplomatica. Il summit, inizialmente previsto a giugno e poi rinviato per l’attacco israeliano contro l’Iran, mira a delineare una roadmap politica verso la soluzione dei due Stati, conciliando il diritto all’esistenza di Israele con quello all’autodeterminazione del popolo palestinese.

La linea francese e il passo della Santa Sede
A guidare il fronte europeo è ora la Francia, che ha annunciato il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina per il prossimo settembre, in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu. “Non c’è alternativa alla soluzione dei due Stati”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot, esortando la comunità internazionale ad adottare “misure concrete”. Sulla stessa linea, il Vaticano ricorda di essere già oltre: il riconoscimento formale risale al 2015, con la firma di un trattato bilaterale che per la prima volta definiva la Palestina come Stato.
“È la nostra posizione da tempo – ha ribadito Parolin – crediamo che due popoli possano vivere fianco a fianco in autonomia e sicurezza”. Il segretario di Stato vaticano ha però ammesso che la situazione in Cisgiordania è sempre più difficile, con un chiaro riferimento alle violenze dei coloni israeliani, che di recente hanno colpito anche un villaggio cristiano.
Roma prende tempo e frena sulla svolta
Diversa è la posizione dell’Italia, che continua a giudicare “prematuro” il riconoscimento. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ribadito che Roma è favorevole “nella sostanza ma non nei tempi”, sostenendo che prima di tutto vanno poste le basi di uno Stato funzionante e garantito da un mutuo riconoscimento con Israele. La premier Giorgia Meloni, nei giorni scorsi, aveva bollato la mossa francese come “potenzialmente controproducente”.
A rappresentare l’Italia al vertice Onu è stata la sottosegretaria Maria Tripoli, che ha ribadito la linea dell’esecutivo: le priorità restano la tregua e l’assistenza umanitaria, perché senza condizioni minime sul campo “non si può parlare di riconoscimenti”.
Appelli internazionali e diplomazia sotto pressione
Nel frattempo si moltiplicano gli appelli. Cinquantotto ex ambasciatori dell’Unione europea hanno firmato una lettera indirizzata alla Commissione e al Consiglio Ue per chiedere “azioni immediate contro le violazioni dei diritti umani commesse da Israele” nella Striscia. Prima ancora, erano stati 35 diplomatici italiani in pensione a rivolgersi direttamente al governo, invitando Palazzo Chigi a compiere il passo simbolico del riconoscimento.
Il fronte internazionale si allarga. Oggi sono 147 i Paesi dell’Onu, su 193 membri, ad aver riconosciuto lo Stato palestinese. Tra gli ultimi, Spagna, Irlanda e Norvegia, che hanno scelto di farlo come gesto di rottura rispetto all’offensiva militare israeliana. Una posizione che, seppur divisiva, riporta al centro la diplomazia, là dove la guerra non ha mai smesso di parlare.