
L’Italia riconosce da decenni e ha relazioni diplomatiche bilaterali con l’Autorità Nazionale Palestinese, che si definisce anche Stato di Palestina. L’Olp di Yasser Arafat proclamò l’indipendenza dello Stato da Algeri, nel 1988. Anp e Stato di Palestina sono tuttavia entità solo parzialmente sovrapponibili.
Dopo il ritiro da Gaza deciso da Sharon nel 2025, dal 2007 la Striscia non è governata dalla Anp, né dal presunto Stato di Palestina, bensì da Hamas. L’Anp è governata dall’alleanza tra Fatah e partiti minori. Dopo la vittoria militare di Hamas su Fatah a Gaza nel 2007, non si è più votato in Cisgiordania e nella Striscia. Di quale “Stato” parliamo?
Ora il presidente francese Macron insiste sul riconoscimento. Giusto, in teoria. Teoricamente il territorio dello Stato di Palestina dovrebbe comprendere Cisgiordania e Gaza. Dovrebbe essere riconosciuto, qualora rappresenti tutti i palestinesi delle due regioni. E ammesso che sia disposto a riconoscere lo Stato di Israele, che a sua volta dovrebbe riconoscerlo, come è avvenuto con Giordania ed Egitto. Può accadere? Ma come? Con quale territorio? Il riconoscimento formale dello Stato di Palestina è un obiettivo finalistico. In fondo converrebbe a tutti. Compresi i cittadini israeliani e palestinesi.

Ma la Anp è in grado, per quanto la odi, di sconfiggere Hamas e di gestire la Striscia dopo un ritiro israeliano? Il premier della Anp Mohammad Mustafa, intervenendo alla conferenza dell’Onu sulla soluzione a due Stati, ha detto che l’Autorità “è pronta ad ospitare e coordinare una forza araba internazionale per stabilizzare Gaza dopo il conflitto”.
Mustafa ha chiesto la riunificazione della Striscia di Gaza con la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, “senza occupazione, assedio, insediamenti, trasferimenti forzati o annessioni”. “Dobbiamo ricostruire Gaza con e per il nostro popolo, porre fine all’occupazione, raggiungere l’indipendenza palestinese e attuare la soluzione dei due Stati, in cui Palestina e Israele vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, per una pace regionale duratura, sicurezza e prosperità”.
Dopo il conflitto, dice il premier. Dunque dopo un credibile accordo di pace nella Striscia. Tuttavia, finora, Hamas non cede e certo non si fa costringere da Fatah. Non va infatti dimenticato che Hamas fa riferimento all’Iran.
Buona volontà, dunque, da parte della Anp Stato/non Stato. Detta così si può tradurre nell’auspicio che Israele sradichi Hamas dalla Striscia, che i Paesi dell’area siano disposti ad accoglierne i resti, che Israele sia disposto a non avere alcuna voce in capitolo nella gestione, quanto meno a termine, di una Gaza priva di Hamas, e infine che sia disponibile a costringere i coloni a lasciare, almeno in parte, la Cisgiordania, come fece Sharon con Gaza.
Visto da lontano sembra tutto ragionevole. Pensare che sia facile è illusorio. La strage del 7 ottobre 2023 ha convinto molti israeliani che Sharon abbia sbagliato consentendo ad Hamas di dominare la Striscia con l’obiettivo di distruggere Israele. Fidarsi oggi è più difficile di allora, anche se parte considerevole del popolo israeliano è contraria alle posizioni dei partitini messianici che sostengono Netanyahu, per niente disposto a uscire di scena. Certo, Israele è una democrazia vera, e si voterà per eleggere la nuova Knesset, al più tardi nel novembre del 2026. Per quanto sembri sempre in bilico, la maggioranza di Netanyahu regge. Certo “Bibi” non lascerà di sua volontà. Anche se molti Israeliani lo sperano. È dunque probabile che si arrivi alla scadenza naturale del quadriennio.
Questo è il contesto, a oggi. Già domani potrebbe essere diverso. E anche dopodomani. Macron vuole correre. Giorgia Meloni, giustamente, preferisce la prudenza. Mentre continua a crescere nell’opinione pubblica occidentale un antisionismo/antisemitismo radicale. Anche in Italia. Sempre di più. Indossare la kippah sta diventando pericoloso. Una brutta tendenza che va respinta con forza, se siamo un popolo civile. Ma lo siamo?