
Per milioni di fan in tutto il mondo, Ozzy Osbourne non era soltanto una rockstar, ma un’icona oltre la musica. Un simbolo di eccessi, ribellione e resistenza. Il suo volto segnato, la voce graffiata, i movimenti incerti degli ultimi anni: tutto sembrava raccontare la parabola di un uomo che aveva attraversato l’inferno e ne era uscito comunque vivo. La sua figura era diventata quasi mitologica, incastonata tra le pagine più controverse e affascinanti della storia del rock. La sua morte, a 76 anni, non è soltanto la fine di una carriera ma la chiusura di un’epoca.
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Nessuno si aspettava che il live di Birmingham, pochi giorni prima, sarebbe stato il suo ultimo saluto. Ozzy aveva lasciato il palco tra gli applausi, tra i cori e le lacrime. Aveva detto addio, ma nessuno voleva crederci davvero. Ora che quel momento assume il sapore di un commiato consapevole, in tanti rileggono ogni gesto, ogni parola, come un segnale.
La morte e l’ipotesi dell’eutanasia
La scomparsa di Ozzy Osbourne è stata annunciata senza dettagli precisi sul luogo o sulle cause. Un silenzio che ha alimentato speculazioni. A rilanciarle è il giornalista e biografo Ken Paisli, autore di Ozzy la storia, biografia aggiornata al 2025 e corredata da una galleria fotografica inedita. Il libro, uscito in una nuova edizione dopo che le precedenti erano andate esaurite, dedica un intero capitolo alle circostanze della morte dell’ex leader dei Black Sabbath.

Paisli avanza l’ipotesi che il decesso sia avvenuto per eutanasia, sulla base di elementi che, messi in fila, compongono un quadro suggestivo. Dalle dichiarazioni rilasciate negli anni dalla moglie Sharon Osbourne a favore della “dolce morte” in caso di malattie degenerative, alle condizioni cliniche di Ozzy, affetto dal morbo di Parkinson dal 2020, passando per la scelta di non divulgare il luogo del decesso e l’assenza di dettagli precisi nella comunicazione ufficiale della famiglia.
“The final show”: un addio scritto prima
Un altro elemento che alimenta la teoria di Paisli è una foto scattata fuori dal camerino del cantante il 5 luglio, poco prima del concerto di Birmingham. Sopra la porta, una scritta: “The final show”. Una coincidenza? Oppure un messaggio lasciato da qualcuno che sapeva esattamente che quel live sarebbe stato l’ultimo? Paisli sostiene che Ozzy fosse consapevole della fine imminente, e che avesse voluto salutare il suo pubblico nel modo più coerente con la sua storia: dal palco.
Nelle stesse ore, anche il sito Daily Beast ha ripreso il tema, ricordando le dichiarazioni della stessa Sharon, riportate anche nel suo memoir, secondo cui lei e Ozzy avrebbero pianificato di ricorrere all’eutanasia in Svizzera, presso la clinica Dignitas, nel caso in cui le loro condizioni cognitive o fisiche fossero diventate incompatibili con una vita dignitosa.
La smentita della figlia Kelly
Nonostante queste tesi, la figlia di Ozzy, Kelly Osbourne, ha smentito con forza ogni riferimento all’eutanasia, definendo le ricostruzioni di Paisli e della stampa una “deriva sensazionalistica”. La giovane ha chiesto rispetto per il dolore della famiglia e ha negato che vi sia stato alcun piano di morte assistita. «Mio padre è morto circondato da affetto, non da speculazioni», ha dichiarato.

Eppure, le parole pronunciate dallo stesso Ozzy Osbourne negli anni recenti continuano a far riflettere. Tra il 2022 e il 2023, in diverse interviste, aveva detto con lucidità: «Non voglio che la mia famiglia debba cambiarmi i pannoloni. Preferisco morire con dignità piuttosto che diventare una caricatura di me stesso». Frasi che oggi assumono un peso diverso, che si inseriscono nel contesto del dibattito pubblico sul fine vita.
Un dibattito che divide
La possibilità che Ozzy Osbourne abbia scelto l’eutanasia non cambia il valore della sua vita né la grandezza del suo contributo alla musica, ma riporta al centro dell’attenzione una delle questioni più delicate e controverse del nostro tempo: il diritto a una morte dignitosa. In molti Paesi, tra cui la Svizzera, la legislazione permette questa scelta. In altri, il tema è ancora tabù o oggetto di aspri confronti ideologici.
Il fatto che una figura così popolare e amata possa aver compiuto questo passo, se confermato, potrebbe rappresentare una svolta nel modo in cui il fine vita viene percepito dall’opinione pubblica. Intanto, il “principe delle tenebre” è diventato, forse suo malgrado, anche un simbolo di libertà individuale nel momento più estremo dell’esistenza.