
Per quasi trenta ore una piccola imbarcazione in difficoltà ha navigato nel Mediterraneo, a sole tre ore da Lampedusa, senza ricevere alcun tipo di soccorso. A bordo c’erano novanta migranti, tra cui anche due bambini, poi ritrovati senza vita, e almeno un altro disperso. Nonostante la segnalazione di Frontex e dell’aereo Sea Bird dell’ong Sea Watch, nessuna autorità marittima competente è intervenuta per prestare assistenza.
Il barchino era stato avvistato lunedì mattina, stracarico di persone esauste, in mare da oltre tre giorni. Due erano già cadute in acqua. Sei ore dopo, anche un aereo di Frontex si è avvicinato all’area ma si è subito allontanato. Secondo Sea Watch, le autorità italiane e maltesi avrebbero potuto raggiungere l’imbarcazione in meno di tre ore, ma non lo hanno fatto.
Nessun soccorso ufficiale, interviene un mercantile

Durante la notte, mentre il maestrale gonfiava le onde tra la Sicilia e la sponda africana, è stato il mercantile Port Fukuka a tentare un’operazione di salvataggio. Ma le navi commerciali non sono attrezzate per questo tipo di interventi: mancano mezzi idonei e personale addestrato, e le onde provocate dalla loro stazza rischiano di ribaltare le piccole imbarcazioni.
Ed è quanto accaduto. Quando finalmente i migranti sono stati fatti salire a bordo, due bambini erano già morti e una persona risultava dispersa. Un epilogo tragico che, secondo l’ong tedesca, poteva essere evitato se le autorità fossero intervenute per tempo.
La nave aurora bloccata a Lampedusa
Sea Watch ha denunciato anche il blocco imposto alla propria nave da soccorso Aurora, ferma nel porto di Lampedusa dal 15 luglio. L’imbarcazione si trovava a sole quattro ore e mezza dal luogo dell’emergenza e avrebbe potuto prestare soccorso. Il fermo amministrativo, secondo l’organizzazione, sarebbe stato motivato da ragioni pretestuose: la nave aveva chiesto e ottenuto un cambio di porto a causa del peggioramento delle condizioni meteo, approdando a Lampedusa invece che a Pozzallo.
Nel frattempo, nel Mediterraneo svuotato di navi umanitarie, si continua a morire. L’episodio accaduto mostra con drammatica evidenza le conseguenze del mancato coordinamento nei soccorsi.
Il rischio di respingimenti verso la Libia
Al momento, i naufraghi sono ancora a bordo del Port Fukuka, e Sea Watch teme che le autorità italiane impediscano loro di sbarcare in Italia. L’ong paventa un possibile intervento della Guardia costiera libica, che potrebbe riportare le persone in Libia, esponendole a torture e violenze. “È inaccettabile”, afferma Sea Watch.
Un simile caso si era verificato il 24 maggio, quando 35 migranti furono riportati in Libia da un mercantile prima che la nave Ocean Viking riuscisse a trarre in salvo le persone rimaste. Nonostante le richieste pubbliche di chiarimenti, nessuno ha spiegato chi ordinò al comandante del mercantile di consegnare i naufraghi alla motovedetta libica.
Un sistema che lascia morire
Per l’ong tedesca, quanto accaduto è il frutto di un sistema che “sta facendo ciò per cui è stato progettato: lasciare che le persone anneghino ai confini dell’Europa. Silenziosamente, sistematicamente”. Una denuncia durissima, che riapre il dibattito sulla gestione dei salvataggi in mare e sulle responsabilità dei Paesi europei. Nel frattempo, il Mediterraneo continua a inghiottire vite.