
Mentre l’Unione Europea si piega all’ennesimo diktat commerciale firmato Donald Trump, accettando una tariffa generalizzata del 15% e impegnandosi a colossali investimenti energetici, da Ottawa arriva una lezione di politica estera e lucidità strategica.
Il primo ministro Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra e figura di spicco nella diplomazia economica globale, ha detto chiaramente che “quell’accordo non è un modello per il Canada“. E in questa frase c’è tutta la distanza, geopolitica e mentale, tra chi difende i propri interessi e chi preferisce incassare in silenzio. Un attacco all’arrendevolezza della Von der Leyen, sempre più in difficoltà non solo in Europa.
Critiche dirette alla linea von der Leyen
Il bersaglio è dunque l’Europa di Ursula von der Leyen, che ha ceduto ancora una volta al pugno di ferro americano. Pur di evitare un’escalation protezionistica, Bruxelles ha firmato un’intesa che prevede tariffe elevate, un mega piano di acquisto di energia statunitense da 750 miliardi di dollari, e 600 miliardi di investimenti diretti negli Usa.
Una capitolazione mascherata da accordo. Carney, invece, preferisce un altro approccio: negoziare con consapevolezza, senza cedere a ogni pressione. E non è solo una questione di orgoglio nazionale: il Canada è in posizione di forza.

Integrazione economica e vantaggio energetico
“L’America ha bisogno dell’energia canadese“, ha ricordato Carney, sottolineando come il Canada sia uno dei Paesi più ricchi di petrolio e gas al mondo e quindi molto meno ricattabile rispetto all’Europa, che deve liberarsi dalla dipendenza dal gas russo.
Ma non solo. L’economia canadese è profondamente integrata con quella statunitense, soprattutto nei settori dell’automotive e dell’agroalimentare: due mercati in cui il valore aggiunto attraversa i confini più volte prima di completare la filiera.
A maggio, secondo il Census Bureau, il 90% dei beni canadesi è entrato negli Stati Uniti senza dazi, grazie alle regole dell’USMCA (CUSMA in Canada) e a strategie di mitigazione tariffaria. Numeri che l’Ue può solo sognare. “Se l’Europa commercia a una base del 15%, il Canada lo fa per lo più a tariffa zero“, ha spiegato Matthew Holmes, portavoce della Camera di Commercio canadese.

Il gioco di Carney: trattare, non subire
Carney non si fa illusioni: sa che Trump userà la leva dei dazi fino all’ultimo istante, ha già visto il balzello salire dal 25% al possibile 35% per i prodotti non conformi all’USMCA. Ma il leader canadese ha tracciato una linea politica netta: trattare sì, ma non da subalterni. “C’è una zona di atterraggio possibile, ma dobbiamo arrivarci”, ha detto. Un approccio opposto a quello mostrato dall’Europa, che ha trasformato un ricatto in un’intesa celebrata.
Nel frattempo, mentre delegazioni canadesi si preparano ai nuovi colloqui a Washington, Carney ha già rinunciato alla digital tax sui giganti USA, ha rafforzato le spese militari e la sicurezza alle frontiere, dimostrando di saper usare la diplomazia come un’arma, non come un alibi.
Con Trump bisogna ballare. Ma senza inginocchiarsi
Alla fine, anche il Canada dovrà scendere a patti con il tycoon. Ma c’è modo e modo di sedersi a un tavolo. E Carney ha dimostrato che non serve seguire l’Europa nella corsa a chi si arrende per primo. Serve tenere la barra dritta, conoscere le proprie carte e, se necessario, ricordare al bullo di turno che “un partner non è un suddito”. Una lezione che a Bruxelles, evidentemente, non hanno ancora imparato.